18/03/2013

Ricordando Don Eugenio Reffo



È curioso come a leggere la biografia dei santi si trovino alcuni tratti comuni anche nella scelta dei collaboratori più fidati. Così è accaduto per due santi sociali torinesi, don Bosco e il Murialdo, che scelsero come loro successori due confratelli che, nell’ombra, contribuirono in modo determinante al diffondersi del carisma dei fondatori. Don Michele Rua, primo salesiano e primo successore di don Bosco sostituì e assistette il santo dei giovani in tutto. Così fu per don Eugenio Reffo che del Murialdo non solo fu il collaboratore più vicino ma di tante iniziative attribuite al Murialdo stesso – come la fondazione della Congregazione di San Giuseppe – fu il motore.

La famiglia murialdina torinese ha ricordato il 170° dalla nascita del servo di Dio che nacque a Torino – fu battezzato in Duomo – il 2 gennaio 1843 presso la parrocchia-santuario di Nostra Signora della Salute in Borgo Vittoria, dove don Eugenio Reffo è sepolto accanto all’urna di san Leonardo Murialdo.

Domenica 20 gennaio 2013, alle 10 si è celebrata una Messa solenne presieduta da p. Tullio Locatelli, consigliere generale della Congregazione di San Giuseppe che ha tenuto, al termine della celebrazione una conferenza sulla figura del servo di Dio. Un luogo, la parrocchia Nostra Signora della Salute, a cui il Reffo fu particolarmente legato: fece parte del comitato per la costruzione della chiesa e il 15 giugno 1890; in occasione della solenne inaugurazione della cappella provvisoria del santuario, a don Eugenio fu affidato il primo panegirico. Inoltre il quadro della Madonna della Salute, che da allora si venera nel santuario, è opera del fratello di don Reffo, Enrico, apprezzato pittore le cui opere ornano tante chiese torinesi e non solo. Tra queste San Dalmazzo, in via Garibaldi, interamente affrescata da Enrico Reffo e dai suoi allievi.

Dicevamo delle analogie fra don Bosco e il Murialdo in quella sorprendente stagione di santità che caratterizzò Torino tra ‘800 e ‘900. Sono numerosi gli «incroci» - come ha sottolineato don Locatelli – fra i sacerdoti di quell’epoca, come dire la santità era «contagiosa»: la mamma di don Reffo dava una mano a mamma Margherita nell’organizzazione delle lotterie a sostegno dell’oratorio di Valdocco, don Reffo ha avuto tra i sui confessori il can. Allamano quando era rettore della Consolata. E poi nel 1888, in occasione di una delle ultime consuete feste organizzate a Valdocco per l’onomastico di don Bosco, il santo dei giovani è ritratto in mezzo a don Michele Rua e a don Eugenio Reffo che fu incaricato di dire due parole per introdurre il brindisi augurale…

E si potrebbe andare avanti ancora. Insomma – rileva don Locatelli – tutti segni che a quei tempi sebbene con carismi diversi – santi non ci si faceva da soli. Ma Eugenio Reffo, schivo e rigoroso per carattere, non ambiva certo alla santità, anche se di santi ne ha frequentati parecchi. Dedicò tutta sua vita di prete a due passioni: il giornalismo e l’educazione dei giovani poveri.

Diventato sacerdote dopo aver studiato presso i gesuiti di Massa Carrara e nel Seminario arcivescovile di Torino, fu nominato nel 1861 maestro educatore nel Collegio degli Artigianelli, fondato da don Giovanni Cocchi per accogliere e dare un mestiere ai ragazzi orfani e più poveri della città. Fu qui che avvenne l’incontro fra don Reffo e il Murialdo, che spesso andava a confessare i ragazzi agli Artigianelli, e i due non si separarono più. Quando al teologo Murialdo - riluttante - fu affidata nel 1866 la direzione del Collegio che versava in condizioni economiche disastrose – Reffo era già lì. E fu lui che convinse il santo a fondare una Congregazione – i Giuseppini del Murialdo di cui il Reffo scrisse la regola – che avesse come carisma l’educazione dei giovani più poveri. Da allora i Giuseppini, oggi sparsi in tutto il mondo, continuano ad occuparsi dei ragazzi più in difficoltà.

C’è poi il giornalismo, grande amore del Reffo a cui, nonostante negli ultimi anni della sua vita fosse diventato cieco, si dedicò fino alla fine. Fu redattore capo del quotidiano l’«Italia reale» e dal 1895 si dedicò soprattutto al settimanale la «Voce dell’operaio» (oggi la Voce del popolo, settimanale della diocesi di Torino), il periodico fondato dallo stesso Murialdo nel 1876 come Bollettino delle Unioni operaie cattoliche. Don Reffo, che diresse la «Voce» dal 1901, ne migliorò la veste tipografica ed i contenuti, e procurò al giornale un rinnovato successo e una tiratura che nel 1915 era di 35 mila copie affermandosi oltre i confini nazionali tra gli emigranti italiani.

Nonostante fosse ormai cieco, continuò a dettare i suoi articoli fino alla morte: l’ultimo suo pezzo fu pubblicato il giorno dopo la sua morte avvenuta a Torino il 9 maggio 1925.



[M. Lomunno]

Tratto da “La Voce del Popolo” del 27 gennaio 2013


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