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San Giuseppe


Giuseppe di Nazareth, della stirpe di Davide: sono stati scritti romanzi e girati anche dei film per sondare il suo silenzio. Le prima scena del Vangelo secondo Matteo di Pasolini (1964) che segue pedissequamente il dettato evangelico senza aggiungere una parola in più, è solo un intenso incrociarsi di sguardi tra Maria, in cui già si rivela la gravidanza, e il suo sposo che la guarda addolorato e stupito. Non ci sono parole o rumori di sorta, non c’è musica, per quanto sommessa o dolente a commento: solo silenzio, ma quello che passa nel cuore, è tutto detto. La decisione dell’uomo “giusto”, che vede infranto il suo sogno ma che vuole conservare intatto nel cuore l’amore per la sua donna, è già tutta nel suo sguardo che interroga ma non trova risposta e nel suo passo deciso quando si allontana.

“Perché mi cercavate?...” Così risponde Gesù all’addolorato rimprovero della madre quando viene ritrovato nel Tempio. Giuseppe, il padre, (“tuo padre ed io angosciati ti cercavamo”) non dice una parola. Anche lui, come Maria, continua a narrare il Vangelo di Luca, non comprende a quale lontano e nebbioso orizzonte vogliano portarli le parole del figlio. E lo fa sussultare quell’espressione che sembra direttamente chiamarlo in causa: “le cose di mio padre”. Quale padre?

Ci sembra che Giuseppe non stia neppure a fianco della madre, forse è un po’ indietro, quasi alle sue spalle, ma il suo sguardo scruta profondamente quel ragazzo dodicenne che afferma un’autonomia che fa parte di un mistero insondabile che accomuna tutti e tre.

Nel suo cuore, Giuseppe ripercorre i dodici anni, da quando quel figlio, al primo impatto, gli entrato nella vita come una spina che non poteva levare tanto profonda gli era penetrata dentro. “No! - potrebbe rispondere - non sono stato io a cercare te; sei tu che sei venuto a cercare me e hai messo in forse tutti i miei sogni e i miei progetti. Chi ti ha mandato?”

Poi c’è stato quel sogno e quella parola: “Non temere”. “Non temere”: una parola che aveva percorso tutta la storia del suo popolo e che risuonava in tutte le pagine dei libri sacri che il carpentiere di Nazareth sentiva proclamare nella sinagoga nel giorno di shabbat, il giorno consacrato al riposo e alla lode del Signore. “Non temere, Abramo.” “Non temere, Mosé” “ Non temere, Geremia” “ Non temere, popolo mio”. “Non temete” ha detto anche quel suo antenato lontano che portava il suo stesso nome e che, diventato potente in terra d’Egitto, rassicurò il suo popolo dal quale era stato strappato dall’invidia dei fratelli ma che mai aveva dimenticato. “Io vi sfamerò”. “Non temere” era già stato detto anche a Maria ma Giuseppe non sapeva.

“Niente paura.” Quante volte si sarà ripetuta questa espressione nel profondo del cuore e l’avrà detta a Maria e Gesù accompagnando le parole con un sorriso o un abbraccio forte forte. (continua sul prossimo numero)

p. Fidenzio Nalin




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