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"San Leonardo Murialdo" - L'ambiente formativo


Il Murialdo valorizzò ogni mezzo per l’educazione dei giovani, compreso lo svago. Per questo, oltre ai giochi in cortile e le passeggiate, diede agli artigianelli la possibilità del nuoto, così di «godere di quei vantaggi igienici che arrecano la pulizia del corpo e l’esercizio del nuoto» (Ep., I, 215), frequentando dapprima una piscina esternafino a quando «si costrusse apposita vasca natatoria nel giardino del Collegio» (Scritti, X, p. 148). Ugualmente favorì la ginnastica anche come sostegno alla salute e il teatro che, con la “Compagnia Fiaschi”, istituita e diretta da don Reffo e dal fratello, il pittore Enrico, rese rinomata la tradizione teatrale del collegio. Anche il canto faceva parte dell’attività del collegio.

Inoltre il Murialdo, come stimolo alla formazione, continuò la tradizione della distribuzione solenne dei premi ai giovani artigianelli che durante l’anno si erano distinti nella condotta, nel lavoro o nello studio consistenti in medaglie, libri o vestiario, secondo le necessità del premiato; inoltre venivano date settimanalmente menzioni che davano diritto ad una retribuzione in denaro che sarebbe stato consegnato al giovane all’uscita dal collegio. Nel 1887 il Murialdo disse che «la solenne distribuzione dei premi... suole essere per i giovanetti un potente stimolo di emulazione, e la emulazione è il nerbo precipuo dell’educazione comune» (Scritti, X, p. 164). Accanto ai premi vi erano anche le punizioni per le mancanze che consistevano, per esempio, nella privazione di una parte del tempo di ricreazione.

Affinché l’azione formativa portasse i suoi frutti, il Murialdo desiderava che nel collegio ci fosse un clima di famiglia, inteso secondo le modalità del tempo, anzitutto tra i collaboratori e poi tra educatori e giovani. Infattisi lamentava che il collegio sembrava «più un reggimento che una famiglia…; Superiori da una parte, giovani dall’altra. Non c’è confidenza di famiglia...» (Scritti, V, p. 24) e insisteva che il collegio doveva avere un «carattere di famiglia, non di carcere e carcerati, anzi neanche di collegio, ma di famiglia...» (Scritti, IV, p. 326).

Ugualmente desiderava e faceva di tutto perché il rapporto tra lui, come rettore, e i giovani fosse improntato ad una relazione serena e cordiale. Nel discorso di ringraziamento rivolto ai giovani in occasione della sua festa onomastica del 1869, il Murialdo disse: «... il mutuo affetto è la prima condizione perché si possa fare qualche po’ di bene da un Rettore di una casa qualsiasi, ma specialmente da una casa di educazione» (Scritti, IX, p. 333), e nel 1880, così si rivolgeva loro: «Il mio cuore nei più vivi suoi affetti si divide fra la famiglia mia naturale e la adottiva che siete voi...» (Scritti, IX, p. 360).

Il Murialdo, inoltre, si preoccupava personalmente dei suoi giovani, si interessava della loro salute, del vitto, delle loro necessità. Per i giovani ammalati, poi, aveva una cura tutta particolare: «Per gli ammalati era tutto attenzione e diligenza, e quando qualche giovane veniva a morire, e succedeva con qualche frequenza in quei primi anni, egli lo assisteva fino all’estremo, passando presso di lui anche le intere notti» (Vita, p. 52).

Certamente in un collegio, con così tanti giovani problematici e difficili, era necessario un «metodo di educazione... sostenuto da una stabile ed energica disciplina»(Scritti, X, p. 147), disciplina però «non pedantesca, ma quello al tutto necessaria in un convitto ben ordinato» (Scritti, X, p. 118).

Giuseppe Fossati



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