Nel Convegno missionario che si e’ tenuto il 23 novembre scorso a Milano, nella Parrocchia Murialdo e al quale hanno partecipato circa 70 giovani provenienti dai gruppi missionari delle opere giuseppine del nord est, è intervenuto il dottor Fabio Riccardi, della Comunità Sant’Egidio, che ha operato in Guinea Bissau, presentando una riflesisone sulla figura del “volontario in missione”, di cui riportiamo ampi stralci.
Viviamo in un momento in cui per molti motivi noi che siamo nel mondo occidentale, nel nord ricco o almeno più ricco, rischiamo di chiuderci in noi stessi e cominciare a piangerci addosso. Questo può avere una conseguenza molto pratica: chi vive in determinate aree del mondo e vive da sempre problemi e difficoltà incredibili, finisce per essere ancora più isolato.
Il volontarrio, innanzitutto, è uno come tutti. Anche lui ha problemi di lavoro, problemi familiari, economici etc. Ha una vita come tutti, eppure sceglie di non chiudersi in se stesso o nei propri problemi e tiene aperto davanti a sé un orizzonte a cui non pone limiti, ovvero un infinito. Questa è la prima testimonianza che un volontario può dare: essere come tutti, ma allo stesso tempo cercare qualcosa d’altro, cercare l’ incontro con qualcun altro.
Questo atteggiamento ha una base evangelica. “Non datevi pensiero per la vostra vita, di quello che mangerete: né per il vostro corpo, come lovestirete. La vita vale più del cibo ed il corpo più del vestito. (...) Chi di voi per quanto si affanni può un’ aggiungere un ora sola alla sua vita?” leggiamo nel Vangelo di Luca.
Preoccuparsi troppo di sé non serve a nulla.
Questa è una cosa molto importante nella vita del volontario, che poi è una persona comune: si cerca di mettere al centro cio’ che e’ più prezioso nella vita degli uomini; si dà spazio anche alle preoccupazioni per l’altro che vive lontano, in condizioni diverse, spesso peggiori.
Iniziando a fare il volontario comincia un processo di cambiamento di vita e di prospettive: l’ altro ed il lontano entrano nella tua vita e la rendono differente. Non si annullano le preoccupazioni normali di tutti i giorni, ma queste non sono piu’ l’ unico pensiero o l’ unica preoccupazione. Vorrei dire che chi inizia a fare il volontario scopre una nuova sorgente di pensieri e di sentimenti: gli altri.
C’è un attesa nei confronti del volontario: un’ attesa concreta per le parole che potrà dire, ma anche per le cose che potrà fare.
Molti volontari, molte persone che sono andate a lavorare nelle comunità dei paesi in via di sviluppo sono ricordate per le cose importanti che hanno realizzato. Ma dobbiamo parlare anche di amicizia, di legami affettivi che maturano nel lavoro comune e nell’ impegno verso le persone per cui o con cui si lavora.
Questa un’ altra cosa su cui vorrei soffermarmi e riflettere: l’ amicizia.
Credo che questa sia una caratteristica importante del lavoro del volontario.
Infatti, c’ è una differenza tra gli operatori delle organizzazioni internazionali o realtà simili ed i volontari in missione. Tutti fanno cose utili, ma la differenza più importante è proprio la testimonianza dell’amicizia: la testimonianza che possono esistere legami di grande valore esistenziale tra persone che vivono diversamente e hanno culture diverse.
E’ fondamentale testimoniare un legame di amicizia nel nostro lavoro.
Sembra banale, ma nella mia esperienza una delle cose che sono meno comprensibili - per esempio in Africa ma credo che si possa estendere a tutti gli altri paesi e continenti - è la nostra idea di amicizia.
Spesso non si capisce come una persona che per un lungo periodo di tempo ha lavorato e ha vissuto con loro possa poi scomparire di colpo.
Questa non comprensione trova due conferme: la prima nella nostra mentalità; conosciamo bene la facilità con cui dimentichiamo chi ci è lontano favorendo chi invece è presente quotidianamente nella nostra vita; la seconda nel comportamento di tante organizzazioni che iniziano un progetto o un programma e poi senza spiegazioni o per motivi attinenti esclusivamente alla propria organizzazione, se ne vanno. Scompaiono. Non una lettera, un ricordo o un messaggio.
Questo atteggiamento genera stupore ed incertezza in chi aveva cominciato ad avere sentimenti di amicizia verso chi era venuto. E questo conferma anche alcuni pregiudizi che si hanno nei confronti degli occidentali ed in certo senso aumenta la differenza, la difficoltà di comunicare.
Partendo da questo, quali possono essere le caratteristiche della nostra azione?
Appassionarsi e ricordare.
E’ fondamentale appassionarsi al lavoro che si fa, così come ricordarsi una volta che ci si allontana. In sostanza, bisogna dare l’ idea che l’ amicizia può non finire mai e che può sfidare anche le distanze e le eventuali difficoltà logistiche. Considerare le persone con cui o per cui si è lavorato come amici.
Questo nel nostro tempo è una grande rivoluzione. Non è solo il fatto che si fa qualcosa di utile, oppure di importante, ma è seminare qualcosa di necessario per l’umanità: l’amicizia e la comprensione tra diversi. Questi sono sentimenti duraturi che possono dare molti frutti e che resistono anche alla distanza. Sono sentimenti che avvicinano, in una cultura globale che invece tende ad allontanare le persone di condizione diversa.
In un tempo di globalizzazione imperante, di facilità di contatti e di accessibilità ai mezzi di comunicazione, assistiamo paradossalmente al desiderio prevalente di trovarsi solo con i propri simili.
Il volontario testimonia quella che potremmo chiamare la globalizzazione dell’amicizia. Cioè di un’amicizia che nasce da storie personali, ma che sa superare le barriere culturali ed anche la distanza.
Questa è una testimonianza profondamente evangelica perché significa stringere legami importanti, rilevanti, legami che restano, che lasciano un segno con chi è lontano, vive lontano e potrebbe facilmente essere dimenticato. E’ anche un modo per rispondere alla chiusura che tanti paesi mostrano con atteggiamenti ostili nei confronti di chi ha un’ origine diversa.
Inoltre, questa testimonianza di amicizia si può affermare in paesi o contesti che vivono situazioni di inimicizia profonda.
In questo tempo guardiamo con angoscia a molti paesi.
Alcune situazioni su tutte: l’India, dove la comunità cristiana è sottoposta a gravi violenze; la Somalia che è in totale dissoluzione da ormai quasi venti anni. Si tratta di situazioni in cui l’inimicizia tra le persone, le comunità, le etnie è diventata cronica.
Penso però anche a piccoli paesi che a causa della loro fragilità sono preda della criminalità comune che li usa come base intermedia per il traffico di droga, come la Guinea Bissau. Oppure paesi che sembrano non riuscire a sollevarsi da una povertà diffusa e cronica come la Bolivia o sono afflitti da guerriglie senza fine come la Colombia e la Repubblica Democratica del Congo.
Tutti questi paesi hanno una lunga storia di presenza significativa di volontariato.
La presenza di volontari in situazioni difficili, esacerbate dall’inimicizia rappresenta una testimonianza preziosa, in alcuni casi indimenticabile.
Il volontario poi è uno che non dimentica.
E’ uno che ha amici tra i suoi vicini, ma anche tra chi è lontano. Il volontario è uno che alza lo sguardo verso paesi lontani e situazioni sconosciute alla maggior parte delle persone.
Questo è parte integrante della nostra vocazione. In questo senso andare lontano, cambiare abitudini, conoscere nuove culture assume un senso profondo, un senso evangelico: è la risposta ad una chiamata che il Signore fa a ciascuno; è la chiamata ad una vicinanza, ad una amicizia, ma vorrei dire ad una fraternità che non conosce differenze.
Un ultima parola sulla soddisfazione e sulla cultura.
Cultura è conoscere. Conoscere uomini e situazioni concrete. Capire culture e capire lingue nuove. Provare e condividere nuove abitudini.
Questo modo di vivere ci dà una grande contentezza. Non è solo questione di sentirsi utili: qualcosa di più. Si percepisce che si ha la vita piena. Quelle persone lontane, in America, Africa o altrove hanno riempito la nostra vita.
La chiamata ad aiutare volontariamente gli altri è la base della nostra vita.
Fabio Riccardi