Continuiamo il nostro percorso iniziato nel numero precedente di Vita Giuseppina sul tema dell’iconografia di san Giuseppe nella storia della Chiesa approfondito dalla prof.ssa Stefania Colafranceschi nel libro “Riscopriamo san Giuseppe”.
L’introduzione ufficiale del culto di san Giuseppe è legata alla figura di Sisto IV, Papa dal 1471 al 1484: il testo non ci è pervenuto ma la sua promulgazione è sicura, poiché il Breviario Romano, pubblicato a Venezia nel 1479, offre per la prima volta, al 19 marzo, la festa del santo.
Papa Gregorio XV, nel 1621, ne decretò la festa, tra quelle comandate: a partire da questa data, si registra un impulso particolare del culto e della produzione artistica, dovuto soprattutto alla committenza dei devoti. Le Compagnie artigianali, le Confraternite, gli istituti religiosi che intendevano richiamarsi a lui, vollero dotarsi di opere d’arte che ne celebravano la vita, il ruolo e l’attività.
E’ di questo periodo una molteplicità di realizzazioni: cicli pittorici, pale d’altare destinate alla decorazione di omonime cappelle, statue, incisioni, reliquiari, medaglie…
In particolar modo gli artisti si cimentarono in un nuovo soggetto, la Sacra Famiglia della bottega, scena illustrativa della famiglia operosa, colta all’interno domestico, secondo uno schema ricorrente, che vede Maria intenta a cucire, Gesù apprendista - spesso impegnato nella realizzazione di una croce -, e Giuseppe falegname al suo banco da lavoro. Accanto alle scene tradizionali del ciclo liturgico, si ebbero dunque nuove figurazioni, che davano spazio alla quotidianità.
La tradizione attesta una lettura in chiave umana e affettiva del santo, con esiti che possono risultare tanto più sorprendenti, in quanto inaspettati; ci “narrano” una vicenda esistenziale, mostrano l’adempimento di una funzione educativa nei riguardi di Gesù, che san Giuseppe, ha compiuto dandogli, secondo la formulazione del 19 marzo 1964 di Paolo VI, “lo stato civile, la categoria sociale, la condizione economica, l’esperienza professionale, l’ambiente familiare e l’educazione umana”.
Altro momento determinante sul piano figurativo, è il decreto di Pio IX che istituì san Giuseppe come Patrono della Chiesa universale, l’8 dicembre 1870; il decreto, e la lettera apostolica susseguente, lo presentano ai fedeli come modello di vita e di misericordia, esemplare nella dedizione al salvatore a lui affidato: “…E colui che tanti re e profeti desideravano vedere, Giuseppe non solo li vide, ma con Lui conversò, e con paterno affetto abbracciò e baciò; e con sollecita cura nutrì colui che doveva essere nutrimento di vita eterna al popolo fedele”.
Trattando del sostentamento e dell’educazione di Gesù a Nazareth, Giovanni Paolo II mette in evidenza che la crescita del Salvatore “in sapienza, in età e in grazia” (Lc 2,52), avvenne nell’ambito della Santa Famiglia sotto gli occhi di Giuseppe, che aveva l’alto compito di “allevare”, ossia nutrire, vestire, istruire Gesù nella legge e in un mestiere, in conformità ai doveri assegnati al padre (Redemptoris Custos, n.16).
La Chiesa, e i fedeli, hanno contribuito all’arricchimento di una immagine, di tempo in tempo esemplificata e attualizzata. E le sue figurazioni, nel quadro complessivo della produzione artistica, hanno inteso coniugare emblematicamente situazioni e compiti concreti, spesso evidenti, talvolta appena percepibili perché svolti nell’ombra, all’angolo della scena, che ha il suo punto focale nel Figlio di Dio.
Nei prossimi numeri di Vita Giuseppina si proporrà l’esame di alcune raffigurazioni, espressive di attitudini diversificate: san Giuseppe accogliente; san Giuseppe operoso; san Giuseppe educatore; san Giuseppe falegname; san Giuseppe patrono.