anni 80
Monteleone
di Fermo (AP), 23
febbraio 1926
Roma, 15 luglio
2006
Negli
ultimi giorni la malattia aveva gradualmente sfigurato p. Alteo ad un uomo
senza memoria, senza tempo, senza storia. Chi lo ha conosciuto come uomo di
grande vitalità e iniziativa, avrebbe
faticato a riconoscerlo nei propri ricordi. Realistiche e drammatiche
si attualizzano le parole del Vangelo di Giovanni: "In verità, in
verità ti dico: quando eri più giovane ti
cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio
tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non
vuoi" (Gv 20, 18). Inchiodati davanti alla progressione del morbo di
Alzheimer, all'inevitabile indebolimento del corpo, alla fragilità irreversibile
della mente appare evidente, soprattutto a
chi sempre è stato servo della Parola, il paradosso della croce di Cristo per
il quale l'unica salvezza certa è in Lui, "restate saldi nel Signore
così come avete imparato " (Fil. 4,1). Il 15 luglio, alle ore
21 circa, nell'ennesimo vespro di una silenziosa invocazione rivolta alla madre
celeste, alla Madonna del Carmelo, p. Alteo è passato alla "patria nei
cieli", e "di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù
Cristo, il quale trasfigurerà il nostro corpo per conformarlo al suo corpo
glorioso " (Fil. 3,20-21)
La vita di p. Alteo comincia il 23 febbraio del 1926, in un piccolo
paese marchigiano,
Monteleone di Fermo (Ascoli Piceno), terra che portava sempre nel cuore, dove
si rifugiava per i suoi tempi di riposo, sempre brevi in verità, e dalla quale
aveva ereditato caratteristiche preziose
quali la semplicità, l'onestà, il lavoro duro, l'imprenditorialità, la resistenza davanti alle difficoltà, il sacrifico,
la fede granitica a fondamento di tutto. I genitori Umberto e Adelina
sono mancati fin dalla giovane età e la loro mancanza ha certamente dilatato
il cuore di p. Alteo fino a farlo diventare padre di tanti ragazzi orfani e
senza famiglia.
In assenza
dei genitori, si sono rinsaldati molto i legami con il fratello più grande
Arturo diventato poi Fra Gerardo morto trappista nell'Abbazia delle Tre Fontane
di Roma e la sorella Laura sposata con Adolfo: con essi p. Alteo ha sempre
mantenuto rapporti di grande tenerezza e
affettuosità sentendoli vicini e di sostegno nei molteplici percorsi apostolici.
La storia
vocazionale di p. Alteo inizia alla Bufalotta (Roma) dove incontra i giu-seppini e al Centro S. Antonio dove frequenta la
scuola media inferiore nel periodo 1938-42. Frequenta il noviziato a Vigone (Torino) nel 43-44 e completa gli
studi di scuola superiore con
diploma magistrale nel 47 a Ponte di Piave. Quindi, dal 47 al 50, nel periodo
di tirocinio prima immersione tra i ragazzi delle numerosi classi della
scuola elementare di Roma Pio X e delle straripanti associazioni del popoloso
quartiere romano. Da queste prime
esperienze di totale dedizione ai ragazzi ricaverà uno stile di vita ed un
agire pedagogico che non lo abbandoneranno per tutta la vita. Nel 1949
sempre a Roma Pio X, si consacra definitivamente come religioso con la
professione perpetua.
Nel periodo
dal 50 al 54 completa i suoi anni di studi teologici in vista dell' ordinazione sacerdotale che avverrà il 09-05-1954
presso la chiesa San Leone Magno di Roma. Un periodo concentrato sullo
studio certamente, ma alternato con esperienze di lavoro apostolico. Forse da
queste esperienze, si rafforza in lui la convinzione della priorità del fare
sullo studio o la sua diffidenza per chi riserva del tempo alla formazione
culturale e intellettuale.
L'immediato periodo che segue l'ordinazione sacerdotale è un periodo di
grande zelo apostolico, di lavoro educativo senza alcun risparmio per la
salute, per i suoi studi personali, per
non essere mai "di peso, bensì di sollievo" in qualsiasi comunità
dove era inviato. A chi lo accosta personalmente, rivela un "animo
sensibile e delicato, malgrado le apparenze
di una fare alquanto grossolano". Non mancano i momenti di
incontro-scontro con i direttori e i
superiori in forza del suo carattere sempre autonomo, intraprendente fino all'indipendenza,
a volte testardo; ma sempre piega la sua disponibilità, "pronto a fare
l'obbedienza rassegnato al volere di Dio". E comunque gli anni cinquanta
lo vedono per brevi periodi da Albano al collegio minorile di Segezia, in
parrocchia a Roma S. Alessandro, a Roma Pio X come insegnante e assistente, a
Cisterna di Latina, a San Giuseppe Vesuviano
come incaricato del santuario e di Voce di San Giuseppe prima e poi delle
associazioni e degli universitari della Fuci.
Dal 61 al
64 assume l'incarico di direttore e parroco all'Opera San Giuseppe di Lucerà e
non rinuncia a stare tra i ragazzi anche come insegnante della scuola elementare;
dal 64 al 70 passa all'Opera Sacro Cuore di Rossano dove diventa l'artefice
della nuova chiesa parrocchiale di San
Giuseppe e della chiesa pan-occhiale S. Pio X in contrada Piragineti, e
instancabile promotore dell'avvio dei corsi di formazione professionale; dal 70 al 76 è a Santa Marinella come direttore
dell'istituto assistenziale "Colonia Pio X", quindi dal 76 all'84, ancora direttore e parroco a
San Giuseppe Vesuviano dove realizza la grande impresa di ristrutturazione e decorazione del Santuario di San
Giuseppe servendosi del lavoro artistico del pittore Pietro Favaro. È
questo il periodo dove la generosa magnanimità di cuore si esprime in un
intreccio di relazioni virtuose con la gente ed il popolo di San Giuseppe
Vesuviano. Alcuni amici contesteranno il suo trasferimento da San Giuseppe
ribadendo che p. Alteo "non solo per le sue doti organizzative e
costruttive, aveva riadattato e messo a nuovo con spese a dir poco
inaccessibili il bellissimo Santuario, ma
anche e soprattutto per le sue doti cristiane e sempre al servizio della chiesa,
aveva nel giro di pochi anni riportato in chiesa un intero paese ...". Qualche
segnale di affaticamento e di stanchezza lo
induce a rinunciare alla responsabilità di direttore negliultimi due
anni e nel 1984 a chiedere il definitivo trasferimento "per il bene della
comunità e suo".
Riparte con grande impegno da Roma Pio X come sempre con il suo stile
di presenza assidua tra i ragazzi,
insegnante al mattino, oratorio al pomeriggio con i più scapestrati del
quartiere. L'impresa di stare tra i ragazzi si fa ardua, estenuante, poco
gratificante. Nel 1991 accetta volentieri
di passare all'Oratorio San Paolo di Roma dove tutto gli appare
organizzato istituzionalmente in una dimensione di centro sportivo.
Accetta di
restarvi fino al 1997, quando viene trasferito presso l'Opera Sacra Famiglia
nella popolare parrocchia di Napoli, lì ritrova la gioia di spendersi e di fare
del bene in una pastorale ordinaria più a misura del suo stile decisamente
tradizionale.
Ma la sfida dell'anzianità e della malattia incombe. È lui stesso ad
avvertire un certo smarrimento e confusione mentale al punto da richiedere un
avvicinamento ai suoi parenti. Nel
settembre 2001 si predispone il rientro a Roma Pio X. Ma gli ultimi anni sono immediatamente sopraffatti dall'avanzare del
morbo di Alzheimer. La comunità e i parenti si stringono intorno a lui
per sostenerlo anche con assistenza continua e specializzata, anche se la malattia rende sempre più difficile
la convivenza sotto lo stesso tetto. Quando ormai si fa impossibile, si
provvede con il ricovero in cliniche specializzate, dal maggio 2005 presso il
Centro Italian Hospital Group di Guidonia (Roma) e infine dal 13 giugno presso
la Residenza per la Terza Età "C. Peruzzi" di Castelnuovo di Porto
(Roma). Nella profonda solitudine con cui il morbo di Alzheimer avvicina alla
morte, confortato dal sacramento dell'unzione dei malati e consolato dalla
presenza dei confratelli e familiari, dopo una breve agonia di qualche ora è
spirato al Policlinico Gemelli dove era stato portato per un disperato
tentativo di rianimazione.
Davanti alla figura di p. Alteo, provo semplicemente ad offrire la
testimonianza mia personale,
nella convinzione che tanti altri e forse tutti possono aggiungere la loro. Di
questo laborioso religioso giuseppino,
tutti possono avere ricordi personalizzati, colorati a secondo del proprio
sguardo e della propria sensibilità: di lui si può narrare il bello e il
brutto, il dissacratore ed il tradizionalista, l'innovatore ed il conservatore,
l'imprenditore ed il factotum, il serio e
il giocherellone, il lavoratore ed il confusionario, il giuseppino da cortile
e l'anti-intellettuale, l'obbediente ed il disobbediente, l'avvocato ed il
sentenziato-re, l'educatore intraprendente
e l'assistente rigido. Ma proprio negli eccessi della sua umanità c'era
il vero p. Alteo, l'uomo appassionato ai ragazzi con le sue debolezze e le sue
esagerazioni.
Di questa umanità vorrei
ricordare sempre:
1.- il suo
amore alla congregazione: amava tutto della congregazione, anche i limiti e ì difetti. Usciva fuori dalle righe se
osservava qualcuno che non agiva perseguendo con tutte le sue forze il
bene della congregazione. Non la sentiva come un istituto religioso, come una convivenza di pratiche e osservanze
religiose, ma come e più di una famiglia. Il volto della congregazione
era visibile nei volti dei confratelli, in particolare dei giovani confratelli.
Quanti segni di cura, di interessamento, di predilezione per accompagnare i giovani studenti di teologia nelle prime
esperienze apostoliche. Diversi confratelli hanno trovato proprio
nell'esperienza di Santa Marinella la possibilità di misurarsi con i ragazzi, di appassionarsi ai più diffìcili, di riconoscere
i piccoli segnali di progresseo e di miglioramento, di stare dalla parte
dei più deboli... in breve di riconoscersi semplicemente come educatori
giuseppini alla luce dei suoi insegnamenti ed orientamenti.
2.- Il suo
stile educativo: per stare tra i ragazzi ci possono essere tante modalità ma con p. Alteo si entrava nella dimensione del
"giuseppino da cortile", di colui che fa della relazione
spontanea lo strumento immediato per accostare e interagire con il ragazzo. Il
suo stile di lavoro si traduceva nel "diventare ragazzo tra i
ragazzi", inventandosi mille artifizi e
iniziative per interessare tutti. Alla giocosità e allo scherzo, sapeva unire
lo sguardo vigile, il prevenire le pericolosità e il male, lo stare al
chiodo anche con sacrifico ad ogni ora della giornata, la presenza come
responsabilità attiva e creativa per inventarsi gesti concreti di animazione della vita dei ragazzi. Non ricordo
principi astratti, insegnati dietro un tavolo o in un aula o su un
libro, solo esempi di vita da accogliere, situazioni imbarazzanti dove a distanza di tempo poter rileggere il suo essere
comunque amico, fratello e padre di tanti ragazzi.
3.- Lo zelo
per la gente: non credo che p. Alteo gradisse molto frequentare gente famosa,
gente ricca, gente benestante... manifestava sempre uno sguardo e un sorriso colmi di ironia sulla ricchezza e sui soldi e su
chi si vantava di saperli accumulare con facilità. Ma aveva un cuore
grande per amare e lasciarsi amare della gente anonima, che non fa cronaca, che conosce il sudore del lavoro di
ogni giorno, che alla sera raccoglie la speranza per affrontare i sacrifici di
un nuovo giorno. Il legame profondo che lo sintonizzava con la gente era
la convinzione che l'unica ricchezza è il lavoro onesto e quotidiano. In ogni
luogo o paese, a Lucerà, a Rossano, a San Giuseppe Vesuviano, a Roma, dove p.
Alteo si è speso per la gente, moltissimi hanno un ricordo del tutto singolare
della relazione con lui. Ciò che colpisce è la individualizzazione del
rapporto: come se ciascuno fosse stato
incontrato personalmente da lui e ognuno fa memoria di circostanze, di modalità,
di situazioni che hanno lasciato una traccia indelebile della sua presenza.
Forse il dolore più forte della sua malattia
è stato avvertito come cancellazione dei nomi e dei volti delle tante
persone che gli hanno voluto bene.
4.- Infine,
la sua spiritualità fatta di fede tradizionale, di celebrazioni sobrie, di preghiere semplici. Mai oltre le orazioni
fondamentali del buon cristiano. Seguiva con curiosità tutto ciò che
liturgicamente si riveste di novità per concludere immancabilmente che il di più era futile ed esteriore. La fedeltà
alla preghiera era proporzionata alla laboriosità. Provocava sempre a saper
riconoscere la presenza e la compagnia di Dio nelle pieghe dell'esistenza
quotidiana, nelle fatiche da condividere con e tra i ragazzi. Quanti uomini nel
santuario di San Giuseppe Vesuviano sono stati semplicemente presi per mano e
guidati ad inchinarsi davanti a San Giuseppe facendo il segno della croce! Il
suo cuore era centrato sull'essenziale colto con spirito di fede. Per questo i
momenti più difficili della sua vita
religiosa erano quelli in cui era in gioco 1' obbedienza ai superiori: in
nessuna circostanza per lui era obbedienza dialogata, concertata o
programmata. Coraggioso nel difendere
sempre le sue idee, ma deciso nel piegarsi per cogliere alla fine solo il bene
della congregazione e l'adempimento della volontà di Dio.
E l'ultimo pensiero ritorna al periodo della malattia, della solitudine, del silenzio, dove si è spenta ogni velleità di ricordi e di storia, di cose belle realizzate e di bene semi¬nato a servizio del Regno di Dio. Rimane solo lo spazio del rispetto per contemplare più intensamente il mistero... forse attraverso le semplici parole di una preghiera (di p. Charles di Foucauld, trovata in mezzo ai libri di p. Alteo):
"Padre
mio, io mi abbandono a te. Fa' di
me ciò che ti piace. Qualsiasi cosa tu
faccia di me, io ti ringrazio. Sono pronto a tutto. Accetto tutto.
Purché
la tua volontà sìa fatta in me e in tutte le tue creature. Non desidero altro, mio Dio. Rimetto la mia anima
nelle tue mani.
Te la dono, mio Dio, con
tutto l'amore del mio cuore, perché ti amo. Ed
è per me una necessità di amore donarmi e rimettermi nelle tue mani. Senza
misura, con infinita fiducia. Perché tu sei padre ".
E' una preghiera difficile,
ammettiamolo!
Dopo i
funerali celebrati nella chiesa dell'Immacolata di Roma, martedì 18 luglio alle
ore 11, presieduti da p. Luigi Pierini e p. Giuseppe Rainone, la salma viene
sepolta nella tomba di congregazione al cimitero del Verano di Roma.
Roma
18-07-2006
p.
Giuseppe Rainone
SUPERIORE PROVINCIALE