anni 83
Castel S.Pietro Romano, 3 agosto 1922
Cefalù (PA), 11 febbraio 2006
P. Ulderico Didomenicantonio si è spento serenamente a 83 anni,
attorniato dai confratelli, dai
familiari accorsi per stargli vicino, confortato dall'Unzione dei malati ricevuta
qualche giorno prima in una celebrazione comunitaria, seguito dalle tante persone
che lo hanno amato per la sua mitezza e la
sua saggezza. Serenamente, ma segnato e provato dalla sofferenza, fino
a far ricordare le parole di Giobbe: "pur nella mia pelle corrosa e
piagata, vedrò Dio, godrà del favore di Dio" (cfr. Gb 19,20-27). Negli
ultimi 21 anni è vissuto ininterrottamente a Cefalù. L'incarico di vice parroco
lo ha visto sempre come sacerdote impegnato pastoralmente a sei-vizio della
comunità ecclesiale e civile di Cefalù. È tornato alla casa del Padre, il
giorno 11 febbraio, ricorrenza della Beata Maria Vergine di Lourdes, madre
consolatrice dei sofferenti, alla quale si è rivolto nella preghiera fino alla
fine.
Era nato a
Castel S.Pietro Romano (Roma) il 03-08-1922; da Antonio e Giovanna
Mastrodicasa, in un paese arroccato sul pendio dei Monti Prenestini Era
cresciuto in un contesto dove tutti costituiscono una grande famiglia, il
calore umano e i legami amicali intensi e autentici.
Il percorso
seminariale era iniziato con la scuola media prima a Sezze Romano, poi a
Montecchio Maggiore (Vi) e all'orfanotrofio di Viterbo. Il periodo intenso del
noviziato nel 1937 tra Viterbo La Quercia e e Vigone (Torino). Quindi la
scuola superiore a Ponte di Piave (Treviso) nel 1938-41. Negli anni 1941-44,
anni tristi della guerra, il giovane
giuseppino in tirocinio si consacrava per sempre a Dio il 15 agosto 1943 ad
Albano. Studi regolari di teologia nel 44-45 con la frequenza all'Ateneo
Laterenense di Roma e poi a Viterbo dove, il 21 febbraio 1948 presso la chiesa
di Santa Rosa, corona il sogno della sua vita con l'ordinazione sacerdotale.
La sua
intensa vita apostolica si distingue per una itineranza che lo ha sempre portato
con frequenti spostamenti a rimettersi all'obbedienza e alla volontà di Dio, a
dar precedenza ai progetti della congregazione, ad assecondare il
discernimento dei suoi superiori. È lui stesso a scrivere: "Non mi
sono fatto prete per fare del bene, maperché questa è la volontà di Dio, per
obbedire a Lui... L'appartenenza a Cristo non arriva a maturazione se non nell'obbedienza".
Dopo una
breve permanenza a Napoli, dal 1948 al 1952 è presso la colonia agricola di Roma Bufalotta, con i ragazzi orfani e
disagiati, come insegnante, assistente ed educatore ad Albano
('52-'54), a San Giuseppe Vesuviano ('54-'60), a Dipingano (Cs) ('60-'61).
Dal 1961 al
1966, è immerso come vice-parroco nella vivace esperienza pastorale della
parrocchia di Cisterna (Latina) e quindi a Rossano (Cs) dal 1966-68.
Nel 1969,
per obbedienza accetta di essere direttore all'Istituto B. V Assunta di
Acquedolci (Messina); prova sulla propria pelle l'esperienza diffìcile e
insopportabile della responsabilità gestionale e amministrativa e decide di
rimettere il mandato.
Dopo un
triennio ('70-'73) ancora a Napoli, si trasferisce dal 1973 al 1980 come
educatore a Santa Marinella (Roma) dove ritrova la dimensione vocazionale di
essere maestro e padre nel contatto con i ragazzi orfani e bisognosi. Quindi a
Dipingano (Cs) fino alla chiusura della casa ('80-'85), per essere infine a
Cefalù, all'inizio come economo, ma già dal 1986 come vice parroco.
Cosa lascia p. Ulderico come
eredità?
Non lascia
beni accumulati, non lascia attività super-organizzate, non lascia oggetti
tanto appetiti nelle attuali abitudini consumistiche. Entrando nella sua stanza,
luogo di vita quotidiana, si resta stupiti dallo stile di vita povera. Pochi
abiti, arredi scarni, libri essenziali e antichi. Tutto è intessuto di
essenzialità e di sobrietà. La sua convinzione è chiara, registrata nei suoi
appunti: "Più che non avere nulla, è non avere nulla per sé: questa è
povertà".
Vivere così
lo faceva star bene con se stesso e lo rendeva accessibile a tutti. Chiunque lo ha conosciuto porterà nel cuore la
sua eredità, il suo tesoro nascosto e silenzioso, quello di aver
incontrato:
* anzitutto, un
"sacerdote giuseppino normale", di vita e di spiritualità quotidiana,
ai principi essenziali: "quanto meno si prega, tanto meno significato
ha Dio e tanto meno si ricorre a lui: questa è la spirale della morte
spirituale ".
Fedele e
coerente con l'invocazione del salmista: "Vedi Dio, nostro scudo,
guarda il volto del tuo consacrato, per me
un giorno nei tuoi atri, è più che mille altrove... " (Sai. 84,11-13). Quante giornate trascorse
nella casa di Dio, semplicemente ad aspettare, ad accogliere, ad incoraggiare,
a riconciliare, a perdonare, a celebrare e lodare Dio. Solo "il
confessionale" potrebbe testimoniare il paziente ascolto con cui apriva il
cuore di tante persone all'incontro con la misericordia di Dio. Scrive e rivela
confidenzialmente: "Chi sono io sacerdote per questa gente? L'uomo del
mistero che rende presente Dio, è l'uomo della croce nella luce del sacrifìcio
di Cristo ".
* Un "sacerdote giuseppino umile": è diffìcile
apprezzare oggi l'umiltà come virtù, ma resta il fatto che un sacerdote può
conquistare ancora per la semplicità, per la mitezza, per la saggezza. Un suo
proposito: "Fai quello che sai fare, accontentati di quello che puoi
avere; ma quello che puoi, lo fai? Veramente e bene? Qui cade l'asino. Accetto di
riformarmi? O non mi decido?". È come percepire la consapevolezza di
una umanità fragile, di una lucida creaturalità che si consegna nella mani di
Dio. Le parole di San Paolo "Mi
sono fatto servo di tutti" (1 Cor. 9,19) sono parole che ispirano
l'intera esistenza di p. Ulderico: essere servo di tutti. Il suo servizio si è
sempre tradotto nella fedeltà al compito, a quanto quotidianamente gli era
affidato come dovere. Nello stile murialdino più autentico, era straordinario
nel fare le cose ordinarie, le cose di tutti i giorni.
* Un
"sacerdote giuseppino fratello e padre": essere per la gente semplice
come "un fratello maggiore" secondo uno stile di accoglienza, di
ascolto, di moderazione. In quante famiglie cefalutane, p. Ulderico è entrato
in punta di piedi, portando via il fardello e la sofferenza di tanta gente e
sostenendola anche solo con la preghiera personale. E nella logica evangelica
del "Lasciate che ifanciulli vengano a me" (Me 10,14), quanta
tenerezza e benevolenza nei confronti dei ragazzi: a partire dallo sguardo mite
e benevolo, dal sorriso sempre incoraggiante, dalla presenza interpretata con
pazienza infinita, dalla ricerca di un linguaggio catechistico a misura dei
ragazzi; dalle preghiere attuate in modo semplice, tradizionale, nella dose
giusta! Impresa ancor più ardua, essere "padre": il suo modello di
"paternità educativa" era San Giuseppe, amato, ricercato, invocato.
Tale esemplarità trasmetteva in pratica nella relazione educativa con i
ragazzi, i più piccoli, i più poveri. Ardua l'impresa di esprimersi in termini
di paternità facendo nascere e crescere nei giovani la domanda sul senso della
vita, orientandoli con tenacia sulle cose belle e importanti, incoraggiandone
la speranza per arrivare alla meta.
*Infine, un
"sacerdote giuseppino innamorato di Maria Immacolata": da sempre ho
visto p. Ulderico sgranare il rosario tra le mani, nel cortile, sotto il
porticato, lungo la riva del mare, nel silenzio della sera! E quando
ultimamente, la sofferenza si era fatta insostenibile, l'ho sentito parlare di
una sua convinzione di fede: "la rosario-terapia". La preghiera a
Maria come rimedio, consolazione e sostegno nella sofferenza, è stata una consegna
discreta e capillare a tutti. Nella meditazione sul modello della fede di
Maria, nei suoi ultimi appunti scrive:
"La fede di Maria:
è totale, non è scettica né
diffidente,
è
semplice: non ha bisogno di cornici illustri e momenti solenni, ma è fatta di tanti
sì quotidiani,
è piena,
è lieta e serena: beata te...,
è legata agli altri: si mette
a servire, si fa serva...
Signore, aumenta la mia
fede!"
Grazie, p. Ulderico, delle tue provocazioni sul senso e sul gusto della
vita, del come camminare
per farci santi oggi. Del sentirti affermare, al compimento dei tuoi ottanta
anni, tra i tuoi appunti scritti: "Ho
azzeccato a farmi guseppino!".
Dopo le
esequie celebrate nella cattedrale di Cefalù presiedute da S.E.mons. F. Sgarbato e mons. R. Mazzola, con la presenza di
diversi sacerdoti diocesani, religiosi, confratelli e parenti, p. Ulderico è
stato sepolto nel cimitero di Cefalù il 13 febbraio 2006 nella cappella
della Congregazione. Nella domenica
successiva, 19 febbraio, nella chiesa parrocchiale di Castel S. Pietro Romano
(Roma) si è celebrata una santa messa in sua memoria con i familiari e la comunità
parrocchiale, alla presenza di S.E.mons.Domenico Sigalini, vescovo di
Palestrina, il superiore provinciale p. Giuseppe Rainone e il parroco.
Ricordiamo a tutti i suffragi
di Regola.
Roma 20 febbraio 2006
p.
Giuseppe Rainone
SUPERIORE PROVINCIALE