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"San Giuseppe" - Lettera aperta al giusto falegname di Nazareth.


Caro san Giuseppe,

di solito quando si scrive si comincia con ‘carissimo’, ma il superlativo è formale. Meglio ‘caro’, è più sincero. Nella Santa Famiglia sei stato altrettanto caro alla tua sposa immacolata che al Figlio suo, che a Nazareth chiamavano tuo. Ma tu ami la verità e sapevi bene che tuo non era, se non legalmente.

Mi è sempre piaciuta la storiellina gentile di san Francesco di Sales, se non sbaglio. Egli racconta d’un albero che sorgeva confinante con l’orto d’un vicino di casa del suo padrone. Un giorno IL VENTO lasciò cadere un frutto nella proprietà del confinante. Ed ecco la domanda: adesso di chi è quel frutto? È ancora dell’ortolano che ha coltivato l’albero, siamo d’accordo. Ma volete che egli si offenda se il confinante lo raccoglie e lo considera, almeno un poco, anche come suo?



Caro san Giuseppe, tu sai cosa intendo: Gesù è frutto divino concepito da Maria per opera dello Spirito Santo, ma è venuto ad abitare in casa tua e quindi… Del resto l’Angelo ti aveva detto: ‘Lo chiamerai Gesù’, autorizzandoti a considerarlo tuo. Non sbagliavano poi tanto, dunque, i tuoi compaesani quando lo ritenevano figlio di Giuseppe! E tu, quando li sentivi e non ti era lecito spiegare e svelare il mistero, che cosa provavi? Possibile che non abbia mai confidato alla tua cara sposa i tuoi sentimenti, il tuo segreto, la tua voglia di essere, lasciamelo dire, il primo missionario del Messia? Ma Dio esigeva altro da te e tu l’hai fatto con il tuo cuore grande gonfio d’amore per Lui. E hai taciuto.

Servo buono e fedele, dammi la mano. A presto.

Tuo aff.mo Adelio Cola









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