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P. Antonio Paludo (10/10/1911-26/1/2000)


Oderzo (TV) 10 Ottobre 1911

Oderzo (TV) 26 Gennaio 2000


Nelle prime ore di mercoledì 26 gennaio, all'ospedale di Oderzo dove era da pochi giorni ricoverato a seguito di una caduta accidentale, è venuto a mancare il

P. ANTONIO PALUDO
di anni 88

Il giorno prima gli era stato amministrato il sacramento dell'unzione degli infermi, dato che la prognosi dei medici era piuttosto pessimistica. Gli esami avevano rivelato vasti ematomi al cervello e l'alternativa alla morte poteva essere un futuro di vita vegetativa. Il Signore gli ha abbreviato il tempo dell'agonia, chiamandolo con pochi sussulti, mentre era vegliato e assistito dal direttore della comunità.

Era nato ad Oderzo (TV) il 10 ottobre 1911. La sua vocazione, come quella di un bel gruppo di coetanei, è maturata all'interno dell'esperienza scout nel patronato Turroni (Sacra Famiglia), allora diretto dai giuseppini. Ha fatto il noviziato a Rivoli (TO) nell'anno 1930-1931, da dove è passato subito a Ponte di Piave (TV) per il triennio filosofico, e quindi a Montecchio Maggiore (VI) per il tirocinio. A Montecchio ha anche emesso la professione perpetua nel 1937. I primi tre anni di teologia li ha vissuti al seminario de La Quercia di Viterbo e gli altri due a Roma. L'ordinazione presbiterale è avvenuta a Viterbo il 30 maggio 1942. Subito, appena sacerdote novello, ha ricevuto l'incarico di direttore all'orfanotrofio di Viterbo, che accoglieva in quegli anni anche giovani seminaristi. Vi rimase fino al 1947, quando fu nominato Maestro dei novizi a Vigone (TO), per un anno. Nel 1948 l'obbedienza lo trasferì ad Oderzo, come vicedirettore e prefetto. Vi rimase per undici anni. Nel frattempo aveva ottenuto un diploma in lingua francese a Digione e si era laureato in lettere all'università del Sacro Cuore di Milano, nel 1957.Nel 1959 viene trasferito a Modena, come vicedirettore, Preside ed insegnante. Nel 1967 passa a Padova nella nuova opera del pensionato universitario Murialdo, di cui sarà anche direttore dal 1968 al 1970. Dal 1970 al 1973 è di nuovo a Modena con l'incarico di seguire i lavori di costruzione della nuova ala dell'istituto Sacro Cuore. Dal 1973 ad oggi è rimasto al Brandolini di Oderzo, dapprima come insegnante, poi anche come preside alla ragioneria, infine, ritiratosi dall'insegnamento diretto, dedicato a lezioni di ricupero e di ripetizioni, fino a che l'età e le condizioni di salute glielo hanno permesso.

Del P.Antonio Paludo ricordiamo soprattutto una caratteristica che lo ha qualificato nel suo apostolato giuseppino tra i giovani: un uomo della scuola. Esigente nell'opera formativa e nell'insegnamento, dava sicurezza agli alunni e alle loro famiglie: preparati da lui agli esami, si diceva, si era sicuri. Dotato di vero amore ai giovani, li seguiva con pazienza e generosità. Aveva un modo garbato e signorile che era molto apprezzato dalle famiglie. Negli anni più belli trascorsi al Brandolini a fianco del p. Stella, di cui era solerte vicedirettore e saggio moderatore, non era mai stanco. Durante l'anno scolastico, alternava alla scuola e all'assistenza un'attenzione accorta a prudente ai problemi di economia; e durante le vacanze era ancora lui a dirigere i soggiorni estivi per gli studenti che avevano bisogno di ripetizioni per gli esami di riparazione. L'aula scolastica, la cattedra, la presidenza sono stati quindi i luoghi dove ha incontrato i giovani, li ha amati, li ha introdotti alla vita, dove ha espresso il meglio di sé come religioso ed educatore.

Più difficile invece penetrare nel suo intimo, scoprire le risorse spirituali cui attingeva, le convinzioni che si erano piano piano consolidate, le motivazioni di talune sue scelte e decisioni, il suo mondo interiore. Il fatto è che la sua natura umana e il suo carattere, per un certo verso forte, determinato, e istintivamente portato all'autonomia e all'indipendenza, per altri versi sensibile, delicato, bisognoso di attenzioni e di riscontri affettivi, hanno contribuito a stendere come un velo di riserbo oltre il quale è difficile andare e che hanno un po' allestito la sua croce consistente in una sofferta convinzione di non essere a sufficienza capito. Il passaggio di una sua lettera del 1970 è un piccolo spiraglio, l'unico, che permette di capire meglio i contorni delle sue sofferenze: "maledetto l'uomo che confida nell 'nomo: sta forse qui lo sbaglio, il mio, s'intende: ho forse dato troppa importanza agli nomini, ho avuto in loro troppa fiducia; da ciò le delusioni costanti, i taciti contrasti e le incomprensioni. I miei difetti si sono perciò scontrati con quelli del mio prossimo... Se nella vita religiosa l'affetto non è posto più in alto, se de! prossimo non si fa un mezzo ma il fine, è chiaro che l'affetto stesso fallisce e sfugge agli altri", ecco appena abbozzato il quadro della sua lotta interiore, soltanto indicato lo spessore della sua croce. Incline ad essere protagonista, sia nei tempi del suo migliore servizio alla Congregazione come anche nel programmarsi le giornate e gli hobbies, ha avuto occasione di rivelare il suo singolare amore alla cultura come valore in sé, e la curiosità del ricercatore, elementi che hanno alimentato i suoi interessi e che hanno poi riempito le lunghe giornate della vecchiaia in letture, collezioni, attenzioni. Ne fanno fede i libri della sua camera, gli appunti dei suoi quadernetti, certe sue confidenze quando si andava a trovarlo. Sempre legato da un forte attaccamento alla famiglia, che il tempo non ha dissolto, l'ha accompagnata anche in alcuni momenti molto dolorosi che hanno accentuato la solidarietà parentale. Un attaccamento ricambiato dai parenti con un legame forte all'istituto, di cui siamo riconoscenti.

La sua pietà era sobria e intrisa di fedeltà al dovere, schiva dai grandi slanci secondo la sua indole piuttosto riservata, ma nutrita di devozione mariana ed ancorata alle tradizioni della Congregazione.

Ora lo affidiamo alla misericordia del Padre. Per noi, come per tutti, anche per lui è l'unica risorsa che rimane. Le nostre opere, con le luci e le ombre, rimangono al giudizio della storia. Quello invece che va oltre alle opere e alla storia stessa, includendole e assumendole, è quello che appartiene a Dio. Glielo rimettiamo volentieri, sorretti dalla certezza che è l'unico giudizio che ci salva.

Ricordiamolo con i suffragi prescritti dalla Regola.

P.Agostino Cornale
Sup.prov.

Padova, 29 Gennaio 2000



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