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P. Giampaolo Virgilli (9/12/1949-10/9/2001)


Montecchio Maggiore 9 Dicembre 1949

Vicenza 10 Settembre 2001



Lunedì 10 settembre 2001, alle ore 16.45, ha cessato la sua vicenda terrena ed è torna­to alla casa del Padre buono D. GIAMPAOLO VIRGILLI di anni 51.

La notte tra il 7 e l'8 marzo era stato colpito da un aneurisma subcorticale.

Ricoverato nella rianimazione dell'ospedale civile di Treviso era stato successivamen­te operato per fermare l'emorragia. Dopo prolungate cure e riabilitazioni, mentre era rico­verato presso l'ospedale d. Gnocchi di Milano, nel mese di agosto, aveva riacceso le spe­ranze di tutti noi: la sua mente era tornata praticamente normale, il fisico rimaneva, ovviamente un po' debilitato. Purtroppo, dimesso dall'ospedale, e rientrato in famiglia a Montecchio Maggiore per un po' di convalescenza prima di tornare al Brandolini, nella notte tra il 27 e 28 agosto, si è riformato l'aneurisma provocando una emorragia deva­stante. Ricoverato con urgenza all'ospedale di Vicenza, si è subito capito che non c'era umanamente più nulla da fare.

D. Giampaolo avrebbe compiuto 52 anni il prossimo 9 dicembre, essendo nato a Montecchio Maggiore (VI) nel 1949. Entra ragazzino nella nostra vicina Scuola Apostolica e compie tutti i suoi studi nei nostri seminari. Emette la prima professione a Vigone (TO) alla fine del noviziato nel 1966 e la professione perpetua a Vittorio Veneto alla fine di un corso di esercizi spirituali nel 1973, dopo il triennio di magistero svolto a Civezzano, allora scuola apostolica nel Trentino. Durante il primo anno di teologia si lau­rea in lettere presso l'università di Padova (era il 1974). Dopo gli studi di teologia con­clusi con il baccalaureato, viene ordinato sacerdote a Viterbo il 18 marzo del 1977.1 luo­ghi del suo apostolato: il Patronato Leone XIII di Vicenza fino al 1985 e gli Istituti Brandolini-Rota di Oderzo poi. Mi riesce difficile circostanziare che cosa facesse d. Giampaolo nei luoghi di lavoro. Dire "tutto" sarebbe troppo, dire "tanto" sarebbe dire troppo poco. Era l'anima. La sua presenza trasformava l'ambiente, dilatava l'azione, coin­volgeva la gente.

Di fronte a questa vita, che noi ritenevamo indispensabile, e che è venuta meno, la domanda che ci nasce spontanea è: "Perché, Signore? perché questa morte?", ma è unadomanda senza risposta. E questo "silenzio" di Dio ci turba, ci pesa enormemente e allo­ra dobbiamo fare ricorso a tutta la nostra fede, allora scopriamo quanto sia vera la pre­ghiera del cieco che affermava, ma anche invocava: "Credo, Signore, ma... aumenta la mia fede!". Ma intanto la nostra fede, che è meno di una briciola, non riesce, non vuole dare risposta.

In questo caso forse ci conviene tentare di rispondere ad un'altra domanda: perché que­sta vita? Perché l'abbiamo incontrata? Perché ci è stato fatto dono di fare un tratto di stra­da insieme?

L'incontrare d. Giampaolo non ti lasciava indifferente. Ti ponevi necessariamente la domanda: chi è? Perché l'ho incontrato? Come posso entrare in relazione con lui?

E mai lui si presentava in modo banale o con banalità. Tutto aveva un fine, tutto rispon­deva ai progetti che lui si era fatti. Era l'uomo dell'incontro, a scapito anche di tante altre cose che i nostri stereotipi ci fanno sentire più importanti: che cosa c'è di più importante che incontrare le persone che Dio ti pone lungo la strada?

Una vita vissuta di corsa quella sua: progettare e attuare era un tutt'uno.

Ma torniamo alla domanda: perché questa vita in relazione alla mia, alla nostra? Che cosa ha cambiato della mia, della nostra vita l'incontro e il tratto di strada fatto insieme?

Perché è questo quello che dobbiamo capire, che "tutto è nelle mani di Dio e che quin­di tutto è bene". Non la morte che ce lo toglie in questo modo, ancora giovane, con tante cose ancora da fare, da progettare, da avviare, ma la vita, la vita che abbiamo vissuto con lui, accanto a lui, è bene: per questo Dio ce lo ha fatto incontrare, non perché lo piangia­mo o ci disperiamo per la sua morte, ma perché trasformiamo l'esperienza vissuta accan­to a lui in un inno di riconoscente ringraziamento.

So che a d. Giampaolo i discorsi che ora noi facciamo, non sarebbero piaciuti e non piacciono. Lui, uomo a cui piaceva affrontare le situazioni in modo diretto e senza tante tergiversazioni. Forse ci direbbe con quella immediatezza che molto spesso ti spiazzava e ti metteva anche in disagio: sono morto, basta; pensate a quando ero vivo in mezzo a voi a quante belle cose abbiamo fatto insieme. Stop.

Scriveva nell'unica sua lettera depositata nell'archivio provinciale: "mi scuso per lo schema sintetico e senza fronzoli di questa mia...".

Eccolo il linguaggio di d. Giampaolo e il suo modo di pensare: sintetico e senza fron­zoli. E questo ti impediva di rifugiarti, ipocritamente, dietro i "vedremo", "pensiamoci ancora un po'..". È ciò che ha insegnato a me: cercare sempre di liberarmi delle ipocrisie, delle, una volta si chiamavano, precomprensioni, andare diritti al cuore del problema, anche se costa, anche se ti costringe a modificare certi atteggiamenti di... comodo. E lui certo comodo non era! Quante volte ti veniva il fiato lungo per inseguirlo nei suoi proget­ti... Fermati, gli dicevamo un po' tutti, lasciaci tirare il fiato. E lui per tutta risposta: la vita è fatta per essere vissuta, e con uno strano presagio, la mia poi non andrà oltre i cinquan­ta. Comodo non era anche perché ti rompeva ogni schema, ogni quieto vivere, per andare dritti a incontrare l'altro e per fare questo non bisognava frapporre ostacoli, tergiversazio­ni, non c'era regola che glielo potesse impedire.

Un altro motivo per cui io devo ringraziare il Signore di avermelo fatto incontrare come un amico caro è l'esempio della sua passione educativa nei confronti dei giovani che non gli dava pace e alla quale ti costringeva fattivamente, operativamente. La sua laurea, le sue abilitazioni e specializzazioni hanno questo senso: strumenti per incontrare i giova­ni, tanti giovani; mezzi per incontrarli "incisivamente", non tanto per stare insieme... Uomo di scuola, la viveva però in modo dilatato: nel "tempo" per dare opportunità ai ragazzi di stare nell'ambiente, di fare altro, oltre le noiose lezioni scolastiche, giornate di festa, pomeriggi danzanti, settimane bianche, campeggi estivi,...; ma anche dilatata 'anagrafìcamente' : iscrivere il proprio figlio alla scuola dove operava d. Giampaolo signifi­cava entrare in una avventura da cui ne uscivi trasformato: a scuola andavano anche i geni­tori...

Infine, ma non perché sono finite le risposte e i motivi di ringraziamento al Signore per questa vita che ci ha dato, ma per dare spazio alle tante altre risposte che ognuno di noi trova personalmente nel suo cuore e nella sua vita, mi ha insegnato la generosità aposto­lica e sacerdotale, anche questa fatta non di frasi fatte o di conclamate dichiarazioni, o di orari predeterminati, ma operativamente, generosamente, senza limiti di tempo. Era l'uo­mo del sì di fronte alla proposta di una conferenza, di un ritiro spirituale da animare, di un incontro di giovani da condurre, di una messa da celebrare, di un confessionale dentro cui rinchiudersi per ore...

Io mi auguro che il ricordo di questa nostra fraterna amicizia non venga mai meno e che non resti un semplice ricordo, ma continui a spronarmi a non perdere tempo, a non cincischiare con il tempo, a darlo tutto il mio tempo agli altri.

Concludo. C'è un'espressione che si dice di s. Leonardo Murialdo: Amico, fratello, padre. D. Giampaolo è stato per me e per molti di noi un vero amico fedele; un fratello per tanti altri che gli sono stati accanto come ad un fratello; un padre per schiere di giovani che hanno avuto la fortuna di incontrarlo come educatore, dietro la cattedra dell'inse­gnante, o la scrivania del preside, o nei tanti momenti di gioioso coinvolgimento di festa.

Raccomandiamo al Signore la sua anima con i suffragi suggeriti dalla Regola (Dir. 25) e oltre.

p. Ferruccio Cavaggioni
superiore provincia veneta


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