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P. Giovanni Brusamarello (27/8/1917-14/6/2001)


Arlesega (Padova) 27 Agosto 1917

Modena 14 Giugno 2001



" Il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra...". Queste parole che abbiamo letto nel Vangelo di Luca e che descrivono ciò che accade alla morte di Gesù, accompa­gnano anche il nostro stato d'animo quando deve affrontare la morte. Anche in noi il sole si eclissa e si fa buio. Certo ci viene incontro la fede, ma non è possibile abituarci alla morte, soprattutto poi quando giunge così repentina come è stato per il P. Giovanni.

Ora noi siamo qui, con questo sole eclissato, con questo buio nel cuore, che com­piamo gli stessi gesti di Giuseppe di Arimatea: "Lo avvolse in un lenzuolo e lo depo­se in una tomba...", e nella fede ci chiediamo il senso di tutto questo, il senso di que­sta vita, il senso del nostro averlo incontrato, di averci vissuto insieme,... il senso...

Se è vero, come è vero che Dio ci ama e che nulla ci accade che non sia guidato dal suo amore tenero, personale, attuale... eccetto ciò che proviene dalla malizia, dalla cattiveria dell'uomo, dobbiamo pensare alla vita di ogni uomo, alla vita di P. Giovanni, come ad un dono di questo amore di Dio. Vediamo di scoprirlo, al di là delle apparenze ora distrutte; questo dono, in che modo è stato per noi, ma anche in che modo noi siamo stati dono di Dio a lui. Abbiamo sempre delle stupende respon­sabilità gli uni nei confronti degli altri, noi religiosi che viviamo in comunità, che ci facciamo dono reciproco gli uni agli altri, per essere segno dell'amore infinito di Dio per ciascuno!

E nel segno dell'amore di Dio percorriamo allora un po' questa vita per intuire le meraviglie che il Signore ha fatto in quest'anima e, attraverso questa storia, capire il suo amore per noi e ciò che noi dobbiamo essere per gli altri.

Nato ad Arlesega il 27 agosto del 1917, ha compiuto tutto il normale curricolo di studi, emettendo la prima professione a Vigone alla fine del Noviziato, nel 1934. Dopo lo scolasticato filosofico a Ponte di Piave e il magistero all'Istituto Turazza di Treviso, a Viterbo nel 1940 si consacra in perpetuo a Dio nella nostra congregazione. Diventa sacerdote il 3 giugno del 1944 a Vicenza. Il suo apostolato inizia proprio aVicenza nel Patronato Leone XIII con mansioni le più varie secondo la più classica delle tradizioni giuseppine: insegnante di 5a elementare, assistente della Banda e della Gioventù studentesca, di due anni in due anni passa poi all'Istituto Camerini Rossi di Padova (46-48) e nuovamente al Turazza di Treviso (48 - 51), al patronato del Santo nuovamente a Padova (51 - 52), al Brandolini Rota di Oderzo (52 - 55), a Torino nell'Istituto Artigianelli, la casa madre della congregazione (55 - 60), dal 60 al 62 è ad Arcugnano con gli aspiranti alla vita religiosa (il nostro seminario) quindi a Oderzo (62 - 64) e infine approda a Modena al S. Cuore (64) ove rimane fino appunto ad ora, alla morte. Mentre passa da una cattedra all'altra, da un incarico all'altro, trova anche il tempo per laurearsi in lingue e lettere (1956), diventando l'insegnante di francese per antonomasia.

Sembra, ed è, una vita come quella di tanti altri giuseppini, una vita dedita alla scuola, ai giovani, una vita senza scossoni apparenti. Ma per P. Giovanni ogni trasfe­rimento diventa uno scossone, lo mette in discussione, gli ripropone la domanda fon­damentale, come lui stesso ha scritto: "Il mio disagio interiore è proprio di sapere se questa che faccio è la volontà di Dio'". E la sua è una ricerca tormentosa e tormenta­ta. Scrive ancora: "Non ci possono essere dei segni manifesti che indicano che del bene se ne può fare ugualmente e benissimo senza star male dentro? Io invidio chi non solleva mai problemi di coscienza... Coscienza, la mia, troppo sotto sforzo, analizza­ta, sensibilizzata troppo? Mal servita?" Qui però si fa prorompente la rivendicazione del "giuseppino", senza false modestie. "Al di sopra di questi agitati problemi stanno già i miei trent'anni di modesto servizio (e noi oggi potremmo aumentare questa cifra!) nella congregazione e tutta una bella famiglia di Superiori e Padri che con e come me, hanno vissuto periodi più o meno lunghi di fraterna cordialità, tutti per un medesimo ideale".

Ecco credo che in queste sue rapide parole stia tutta la vicenda spirituale di P. Giovanni: la ricerca assidua, starei per dire pignola, della volontà di Dio, ma con un amore grande alla congregazione, non sempre magari capito e forse non sempre ripa­gato.

Accanto alle sofferenze dell'anima, le sofferenze del corpo: nei suoi scritti ad un certo punto fa un lungo elenco dei suoi mali fisici (e non sono pochi e non sono leg­geri), non da ultimo la difficoltà della vista, che gli ha creato non pochi disagi...

Ma dopo questa "passione" che è stata la sua vita, ecco "il giorno dopo il sabato". Noi compiamo i gesti di Giuseppe di Arimatea, noi siamo nel buio, perché, come dice­vo, non ci si può abituare all'evento della morte, ma la fede ci ricorda: "Perché cer­cate tra i morti colui che è vivo?". E S. Giovanni nella sua prima lettera rincara la dose: "Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! ... Noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che sare­mo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è".

P. Giovanni ora lo vede come egli è, a lui ora il Signore si è manifestato, la sua ricerca è finita, è finito il suo tormento. Si è disfatta questa sua abitazione sulla terra, ha ricevuto un'abitazione da Dio, una dimora eterna, nei cieli (2Cor 5,1).

E allora: se questo è il destino dell'uomo, che dono siamo noi per lui, e che dono è lui per noi?

p. Ferruccio Cavaggioni
superiore provincia veneta


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