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P. Giovanni Pizzuto (3/9/1921-22/3/2001)


Busco di Ponte di Piave (TV) 3 Settembre 1921

Oderzo (TV) 22 Marzo 2001



Giovedì pomeriggio 22 marzo alle ore 15.30 ha cessato di vivere con noi P. GIO­VANNI PIZZUTO.

Muore con lui una forte spinta, uno stimolo efficace di rinnovamento incessante al quale deve sempre attendere la nostra congregazione che lavora in mezzo e con i giovani.

Era stato trovato a terra con un forte ematoma cerebrale che gli aveva irreparabilmen­te leso il cervello. Dopo un primo lungo ricovero all'ospedale di Treviso, era stato porta­to prima all'ospedale di Motta di Livenza e poi a Oderzo dove la sua fibra, già debilitata da precedenti ed anche abbastanza recenti malattie, non ha retto.

I funerali, avvenuti nella solennità dell'Annunciazione, mi hanno dato lo spunto per la riflessione e il ricordo.

"Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chia­mato Figlio dell'Altissimo... Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo; colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato figlio di Dio...". "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto". Tra queste due Parole: una proposta e una accettazione si configura tutto il mistero dell'Incarnazione.

Sono le stupende "cose meravigliose" che Dio compie quando trova la disponibilità nostra.

II guaio è che molto spesso noi preferiamo starcene tranquilli nella nostra Nazareth, dentro confini ben conosciuti,... Non accettiamo le proposte di Dio... troppo grandi... Finché si tratta di modificare, un po' la nostra spiritualità, il nostro intimo, ancora ancora, ma se scombina la nostra vita esterna... i ruoli, i luoghi,... si rivolga altrove. In altre paro­le i limiti ai disegni di Dio li poniamo noi! Le cose meravigliose che Dio vuol compiere devono essere dentro certi nostri schemi!

Non fu così per Maria che si vede la vita totalmente rivoluzionata, non solo interior­mente!

E, lasciatemelo dire, con le dovute proporzioni, non fu così forse neppure per d. Giovanni.

Notate le date: nel '70 diventa direttore di questa struttura. Padova, e in particolare l'ambiente universitario, è percorsa dai fremiti della contestazione.

Si va dalle frequenti occupazioni delle facoltà, ad atti di estrema violenza come la gambizzazione di professori, attentati di vario genere, purtroppo. Sono gli anni di Toni Negri tanto per fare un nome, legato alle Brigate Rosse, e via dicendo... D. Giovanni vive in prima persona e con un carico non leggero di responsabilità questo momento in questo contesto. Sono anni, lo potete immaginare, particolarmente difficili per lui che non accet­ta di fare semplicemente da spettatore, che si impegna, da vero educatore, per tentare di incidere in questi giovani così effervescenti, così violenti se volete, ma anche così carichi di utopia. La sfida che d. Giovanni raccoglie è trasformare questa utopia in speranza, nella fede.

Ma in che modo? E quale fede? Quali sono i contenuti della fede?...

Le prova tutte, e in questo suo proporre e proporsi si trova spesso solo. Di questa sua fatica e di questa solitudine sono testimonianza alcune sue lettere trovate in archivio pro­vinciale.

Lasciate che ne legga un tratto: "Giunto alla fine dell'anno accademico (è il giugno del 71), intendo rimettere nelle sue mani la mia carica di direttore del Pensionato "Murìaldo" e la mia permanenza al Pensionato stesso. Ciò per due motivi: anzitutto per lasciare libero lei di prendere qualsiasi decisione al mio riguardo per il bene dell'opera e della congregazione, secondo il principio (era un suo principio per il quale si batteva) che i direttori devono ogni anno rendersi disponibili come qualsiasi altro confratello; in secondo luogo, perché penso che i miei criteri di condurre un collegio universitario, ai quali credo come ad unica alternativa possibile, non siano condivisi dalla mia comunità. La prego pertanto di consultare sìa i confratelli che i giovani, nella forma più libera e più ampia possibile, in modo che la decisione, qualunque essa sia, obbedisca alle esigenze dell'opera piuttosto che a riguardi per la mia persona. Le assicuro che ogni decisione verrà da me accolta con pace e riconoscenza... ".

Trovo, in queste righe il "mio" d. Giovanni: l'uomo che crede nelle proprie idee e le mette in gioco anche a scapito dei comodi e delle convenienze personali, l'uomo libero; ma anche l'uomo che non vuole agire da solo, isolatamente, ma essere sempre in dialogo, l'uomo che cerca sempre il dialogo; l'uomo che antepone il bene di chiunque al proprio bene personale...

Mentre dirige il collegio universitario, la sua lungimiranza intellettuale, la sua sensibi­lità di giuseppino, la sua disponibilità aperta al nuovo, lo costringono ad aprire, acco­gliente, le porte del collegio universitario ad una nuova esperienza. Novità assoluta per Padova, per la congregazione nostra che per questo tentenna, ma nuova forse anche per 1' intero territorio nazionale: un modo nuovo di accogliere i ragazzi che vivono situazioni di difficoltà: piccoli nuclei familiari.

Non solo, accogliente, apre le porte, nonostante la difficile convivenza delle due real­tà, ma ne diventa l'animatore spirituale, il teorizzatore delle prime, difficili e ostacolate esperienze: è un terreno inesplorato e quindi un terreno su cui è difficile orientarsi. Con d. Giovanni pochi altri hanno il coraggio del Vangelo e del carisma murialdino per avventu-rarvisi. Oggi è una stupenda realtà: l'associazione Murialdo di Padova.

Ma continuiamo a percorrere il suo curriculum vitae. Nel 1976 gli viene chiesto di venire al Brandolini come insegnante e animatore della sezione dei "grandi". Vi assicuro (casualmente ne sono stato testimone oculare) gli è costato molto, veramente molto. Eppure... lo troviamo al Brandolini e qui è rimasto, fino all'altro giorno, fino alla morte, sempre sulla breccia a proporre, a dialogare, a stimolare... non come uno che si ritira sull'Aventino, o che tira i remi in barca, perché... non condivide! Diventa insegnante ed educatore spesso ricercato anche al di fuori della scuola, anche quando non c'è una catte­dra di mezzo. Qui profonde le sue ultime energie.

A questo punto il capitolo dei sogni infranti, delle ali tarpate, delle potenzialità avvili­te, qualcuno potrebbe dire "dalla gretta mentalità di superiori miopi".

D. Giovanni non ama questo linguaggio: ciò che gli viene chiesto, o rifiutato, gli viene semplicemente chiesto o rifiutato dalla sua congregazione che egli ama al di sopra di ogni altra cosa, e quindi, pur nella sofferenza dell'accettazione della volontà altrui, magari non condivisa, si adegua, senza recriminazione, anzi facendone talvolta oggetto di bonario ricordo.

Ho letto da qualche parte: "È sempre presente, e in forma ormai neppure più tanto latente, la tentazione di rendere la vita religiosa un'esistenza ordinata, comoda, senza pro­vocazioni, ma ciò significa, in realtà, che la religione è solo un oggetto d'uso giornaliero e non più un'avventura spirituale". Un'esaltante avventura spirituale all'insegna delle cose meravigliose che Dio vuole compiere in noi e attraverso noi! Ecco come vivere la fede, la religione; ecco come la vive Maria dal momento di questo sbalorditivo annuncio; ecco come, lasciatemi fare questo passaggio, ha cercato di viverla, con tutti i suoi limiti e le sue manchevolezze, d. Giovanni.

La fede, per d. Giovanni, non era un fatto acquisito, era una continua conquista. Alla luce della fede, di questa fede rivissuta in modo nuovo ogni giorno, si sforzava di leggere la vita, le vicende del mondo, le situazioni... Tutto lo interpellava in prima persona, tutto diventava occasione di confronto con la fede: e la fede impastava la lettura della realtà e la lettura della realtà dava concretezza alla fede. Questa è quella che oggi si chiama "for­mazione permanente".

Scorriamo un attimo questa vita di d. Giovanni per fermarci su alcuni passaggi che paiono significativi anche per noi.

Compiuto il noviziato a Vigone tra il 1936 e il '37, emette la sua professione perpetua a Montecchio Maggiore nel 1942. Gli studi teologici sono piuttosto travagliati, spartiti tra Treviso, Oderzo e Viterbo, dove viene ordinato sacerdote il 1 marzo 1947. A Padova si lau­rea in filosofia nel 1951 e in lettere nel'53. Nel frattempo, era una caratteristica dei giu-seppini non fare una sola cosa alla volta, insegna nello scolasticato filosofico di Ponte di Piave fino al 1952, poi al Collegio Brandolini dal 52 al 58 quando è chiamato ad insegnare nell'Istituto S. Cuore di Modena. Da qui, dopo due anni, è trasferito ad Albano Laziale ove rimane dal 60 al 66. Sono gli anni del Concilio e d. Giovanni vive questa stagione con par­ticolare intensità.

La vicinanza a Roma, la sua sete di impressioni di prima mano gli fanno superare tante barriere e lo spingono ad incontrare e ad entrare in dialogo con eminenti personalità, pro­tagonisti della grande assise. È un momento estremamente fervido per la sua struttura culturale e spirituale. Del Concilio e delle idee di alcuni padri conciliari ne farà la guida, la strada maestra del suo modo di vedere e di leggere le cose.

Sulle istanze che animano la Gaudium et spes è costruito molto dell'ottimismo di d. Giovanni, del suo desiderio di dialogo, del suo impegno anche ideologico: "Il genere umano passa da una concezione piuttosto statica dell'ordine delle cose, ad una concezio­ne più dinamica ed evoluta. Ciò favorisce il sorgere di un formidabile complesso di nuovi problemi, che stimola ad analisi e sintesi nuove" (G.S. n. 5). D. Giovanni con l'umiltà di chi si sa inserito in un processo "dinamico ed evolutivo", si incammina per affrontare senza paura "il formidabile complesso dei nuovi problemi".

Dal '66 al '69 lo ritroviamo a Ponte di Piave con i chierici filosofi. Poi il '69! Un altro anno decisamente significativo della sua vita ed anche della vita della Congregazione. E l'anno del Capitolo generale speciale, voluto dal Concilio e da Paolo VI per costringere tutte le Congregazioni religiose ad un radicale aggiornamento secondo i dettami e lo spi­rito nuovo introdotti dal Concilio: si trattava di riscrivere la Regola! D. Giovanni vi par­tecipa, come era nel suo temperamento, da protagonista.

Noi giovani studenti di teologia respiravamo con tutti i pori della pelle questa aria di novità e stavamo in trepida attesa, seguendo con speranza ed apprensione i lavori e le riflessioni di questi nostri padri capitolari, da cui dipendeva, almeno allora lo credevamo intensamente, il futuro della qualità della nostra vita: gli interventi di d. Giovanni ci tra­smettevano sempre speranza.

E sempre speranza hanno trasmesso tutti gli interventi di d. Giovanni nei lunghi anni in cui ha partecipato ininterrottamente alle varie fasi dei vari capitoli sia provinciali che generali: era uomo che apriva orizzonti, non determinava confini...

1969-'76: è un'altra fase importante della vita di d. Giovanni, la fase "padovana".

A Padova da poco tempo la nostra congregazione si era imbarcata in una avventura forse più grande delle forze a disposizione: un collegio universitario.

Govane prete, studente universitario a Padova, è il discepolo prediletto di Stefanini, un professore di filosofìa, che con la sua erudizione ha segnato la storia dell'ateneo patavino del secolo scorso. Ed è Stefanini che gli chiede e chiede ai suoi superiori che lo lascino intraprendere la carriera dell'insegnamento accademico. Infinite ragioni (non tutte condi­visibili, ora) ne hanno sconsigliato l'autorizzazione. E d. Giovanni si è adattato, senza drammi, . . .

Un secondo sogno infranto credo sia stata la sua passione per la parola detta, il dire, l'argomentare. Sarebbe stato, e lo era nelle rare occasioni che gli si presentavano, un ricer­cato conferenziere. Essere libero di portare la sintesi delle sue riflessioni nelle varie sale del Veneto e, forse, d'Italia. Gli è sempre stato impedito dagli impegni scolastici affidati­gli e assunti. Anche negli ultimi anni, quando a causa dell'età il rapporto con i giovani stu­denti era diventato difficile e faticoso, la scuola manteneva la precedenza su tutto, nono­stante fosse la bestia nera dei presidi per la sua idiosincrasia con le carte, con la burocrazia, era preoccupato del dialogo diretto, non del registro da riempire.

Concludo.

Altri, ognuno di noi può far tesoro in cuor suo dei personali insegnamenti ricevuti da questo uomo.

Se noi ritorniamo al fatto dell'annunciazione scopriamo che l'angelo, ora, è venuto a portare a d. Giovanni l'annuncio che veramente rivoluziona la sua vita: "Vieni servo buono e fedele..." Ma forse l'angelo è venuto anche per portare a noi un annuncio attra­verso questo momento, attraverso questa vita. Forse oggi una annunciazione viene fatta a noi. Forse oggi a noi viene chiesto un "oltre" da realizzare. Lo scopriremo nella preghie­ra, nella lettura dei segni dei tempi, nell'ascolto della Parola, purché il nostro cuore sap­pia liberarsi di ogni cosa e dire con Maria "Ecco il servo del Signore...". Maria e. . . d. Giovanni ci diano la forza di rimettere sempre in gioco la nostra vita così, fidando nel­l'amore infinito, misericordioso, personale e attuale del Signore.

p. Ferruccio Cavaggioni superiore provincia veneta


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