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P. Antonino Maculan (26/9/1927-8/8/2004)


Centrale di Zugliano (VI), 26 settembre 1927

Padova, 8 agosto 2004



Dopo sei lunghi mesi starei per dire di agonia, quando tutto sembrava volgersi in senso positivo, ecco la mano dell'angelo del Signore che accompagna alla casa del Padre il figlio suo. P. Antonino era stato ricoverato presso l'ospedale di Padova l'8 febbraio. Era tornato solo il giorno prima da Bissau perché la sua salute mostrava segni di cedimento. Il giorno 12 febbraio il primo tracollo che lo conduce nel reparto di rianimazione. Da qui non uscirà più.

Negli ultimi giorni aveva ripreso conoscenza e anche l'uso, in qualche modo, della parola. Evento che gli era servito per annunciare che cominciava una novena a don Reffo per la salute del malato ricoverato davanti a lui. Poi la notte tra sabato 7 e domenica 8 la crisi cardio-respiratoria. Vani i molti tentativi dei medici. Alle 8 della mattina di domeni­ca la sua anima era davanti a Dio misericordioso a suonare le sue melodie e i suoi canti.

Vorrei iniziare questa meditazione sulla Parola di Dio che è stata la vita di Antonino, con una data: 1976, l'anno del XVI capitolo generale. Fu d. Antonino promotore di una mozione perché la congregazione si aprisse ad una nuova presenza missionaria, e che que­sta presenza fosse in Africa. Contagiato dal suo entusiasmo il capitolo approvò la mozio­ne per cui la provincia veneta cominciò ad organizzarsi per farsi presente in Africa. Era la svolta della sua vita! Nel 1978 d. Antonino partì per l'Inghilterra per prepararsi e nel 1979 eccolo in Sierra Leone. Ha 52 anni! Non è mai troppo tardi né per imparare una nuova lin­gua, né per immergersi in una nuova cultura così lontana dalla nostra, né per dare concre­tezza al vuoto astrattismo di tante nostre parole e discorsi che non scalfiscono però il nostro troppo consolidato modo di vivere, che sarà pur buono, ma che forse si è ormai fos­silizzato, non ha sussulti di entusiasmo.

Eppure la vita di d. Antonino prima di quel momento era pur stata una vita spesa per gli altri: fatti gli studi nei vari seminari giuseppini, con la prima professione Vigone (TO) l'8 ott. 1943 e l'ordinazione sacerdotale a Viterbo il 3 aprile 1954 (ricorre quest'anno il cinquantesimo della sua ordinazione!) era stato inviato dai superiori in varie realtà giu-seppine del Veneto: Vicenza (Patronato Leone XIII) per fare il suo tirocinio pratico, Venezia dal 1954 al 58 (ove conseguì anche i suoi diplomi di musica nel locale conserva­torio), Portogruaro nell'anno della nostra presenza presso il collegio Marconi, Mirano dal 1959 al 1964. Nel 1964 è nominato direttore del Patronato Pio IX di Venezia, ma già nel 1965 lo troviamo al Patronato S. Gaetano di Thiene di cui diventa direttore nel 1973. Qui a Thiene profuse gran parte delle sue energie a favore dei giovani. Si dedicò in particola­re modo al potenziamento del Centro di Formazione Professionale, istituendo nuovi corsi frequentati da un numero sempre maggiore di giovani. Diede avvio alla scuola media che affiancò così, senza soluzione di continuità, alla scuola elementare sempre presente in Patronato. Indimenticabili gli spettacoli e le serate organizzate e curate da lui sempre pron­to a dirigere con entusiasmo i vari concerti organizzati in occasione di feste e ricorrenze tradizionali. Ed è proprio durante una di queste serate che d. Antonino sente rivolto a se stesso il grido di un giovane sierraleonese presente: "non lasciateci soli!". Sente in questo grido farsi impellentemente concreta e personale la voce del profeta: "Lo spirito del Signore è su di me: mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le pia­ghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigio­nieri, ... per consolare tutti gli afflitti, per allietare gli afflitti, per dare loro una corona inve­ce di cenere, olio di letizia invece dell'abito da lutto, canto di lode invece di un cuore mesto". Mi viene in mente una breve esortazione attribuita a P. Pio: "Quando pensi di aver fatto abbastanza nell'esercizio della carità, spingiti ancora più avanti: ama di più; quando sei tentato di arrestarti di fronte alle difficoltà nell'esercizio della carità, sforzati a supera­re gli ostacoli: ama di più". Mi pare che d. Antonino, anche se non le conosceva, le abbia però veramente applicate alla sua vita queste parole. C'è un momento in cui la mia vita si è incrociata con quella di d. Antonino. Nel settembre del 2001 si doveva tentare di dar vita alla comunità di confratelli studenti di teologia a Freetown in Sierra Leone. D. Antonino dal 1999 era stato trasferito in Guinea Bissau (altra lingua da imparare: il portoghese!). Si pensa a lui per accompagnare e formare questi giovani confratelli. Gli scrivo con tanto patema d'animo. Mi risponde con altrettanto patema, non per dover lasciare la Guinea e il lavoro avviato solo da pochi anni, ma perché si riconosce impari al compito che gli voglia­mo affidare e... accetta. Poi le cose sono andate come sono andate. Gli studi di teologia in Sierra Leone vengono sospesi, d. Antonino torna in Bissau, poi parte per l'India a sosti­tuire per un certo periodo un confratello e successivamente ritorna in Guinea Bissau.

L'elenco di questi movimenti per sottolineare una sua caratteristica: la disponibilità generosa e incondizionata, pur nella sofferenza di ogni distacco. Già a Lunsar - Sierra Leone dopo aver profuso tutte le sue energie per dar vita ad una scuola superiore tecnica che, da poco più di niente, con lui raggiunge il numero di 800 allievi, in un paese dove non esisteva praticamente niente (pensate: dover procurare insegnanti arredo vitto... tutto), riesce a staccarsene con semplicità e a consegnarla nelle mani del confratello stabilito come suo successore. Vi aveva lavorato per 18 anni con costante, paziente, generosa dedi­zione, con responsabilità di preside e l'aveva fatta pervenire a traguardi prestigiosi: prima della guerriglia per ben 4 anni di seguito fu proclamata prima scuola della Sierra Leone. A Lunsar aveva dato vita anche all'associazione ex allievi molto presente, viva e attiva con i suoi tanti diplomati e laureati. Sempre a Lunsar era stato onorato dalla cittadinanza con il riconoscente titolo di "chief " - capo. Ma d. Antonino non era certo malato del morbo dei "fondatori" che non riescono a separarsi dalle loro creature. È uno spirito libero che va dove la voce dei superiori lo chia­ma, anche se "ci sarebbero tante cose ancora da fare qui!". Quella libertà di spirito che gli consente di ironizzare anche sulla fine ingloriosa dei suoi diplomi quando sollevando il baule si accorge che i tarli o le tarme o non so quale altro insetto gli hanno mangiato non solo il fondo del baule ma anche tutti i suoi diplomi di musica e di teologia che vi erano conservati: sic transit gloria mundi - così passa la gloria del mondo, fu il suo divertito commento.

E mi collego così ad un altro aspetto caratteristico di d. Antonino: il suo distacco dai beni, la povertà in cui viveva. Quando sabato 7 febbraio lo attendevamo impazienti alla stazione di Padova, perché non era arrivato con il treno preannunciato, (siamo alla vigilia del suo ricovero), lo vediamo salire affaticato la scala del sottopassaggio con la custodia della fisarmonica come valigia e dentro ci sono tutti i suoi beni! "Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone". Ecco d. Antonino: lievito discreto, invisibile che fa fermentare la pasta!

Sensibilità verso gli ultimi, operatività, disponibilità, libertà di spirito, distacco, povertà sono tutte caratteristiche di una vita radicata nella fede, per cui questa diventa la corsa di un'anima che anela al suo Dio: "verrò all'altare di Dio, al Dio della mia gioia. A te canterò con la cetra (con la fisarmonica) Dio, Dio mio. Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Signore". È questa gioiosa relazione con il suo Signore (e i suoi santi) costantemente ricreata nella preghiera quotidiana che lo rende spi­rito libero, sempre attento e disponibile. Una vita vissuta in pienezza, disseminata di musi­ca, della sua musica, dei suoi canti, del suo entusiasmo che gli permettevano con sempli­cità di dar vita e animare diverse corali presenti nelle chiese della periferia di Bissau.

A conclusione provo a parafrasare uno scritto del defunto card. Suenens, uno dei padri del Concilio, per cogliere un altro aspetto della vita di d. Antonino: don Antonino è stato un uomo di speranza perché ha creduto che Dio è nuovo ogni mattina; perché ha cre­duto che lo Spirito Santo è all'opera nella Chiesa e nel mondo perché ha creduto che lo Spirito Santo da a chi lo accoglie una libertà nuova e provvista di gioia e di fiducia; per­ché era convinto che la storia, ogni storia è piena di meraviglie. Sperare è un dovere, non un lusso. Sperare non è sognare semplicemente, ma è la capacità di trasformare un sogno in realtà. Felici coloro che osano sognare e che sono disposti a pagare il prezzo più alto perché il loro sogno prenda corpo nella vita degli uomini.

Felice te, d. Antonino, che hai saputo dar vita al sogno.

E che questa vita sia una parola di Dio per tutti noi, una Parola che ci interpella e ci rimette in cammino, gioiosamente. Prega per noi.

d. Ferruccio Cavaggioni
sup. provinciale territoriale



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