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P. Redento Buffolo (15/7/1934-5/4/2004)


Faè di Oderzo, 15 luglio 1934

Ponte di Piave, 5 aprile 2004



"Si fece buio".

E noi siamo qui che annaspiamo alla ricerca di un perché, di una ragione, di un senso: perché, Signore?

Avrebbe avuto il giorno dopo la visita per stabilire il tempo e le modalità dell'inter­vento. Se n'è andato prima. L'hai preso con te prima, prima che l'uomo potesse interve­nire, potesse procrastinare la fine di questa vita. Perché? Perché è il terzo confratello che da questa comunità ti prendi in modo così improvviso? In pochi anni?

Siamo ancora al di qua della soglia e facciamo fatica ad accettare che qualcuno la possa varcare, possa andare oltre, possa entrare nella resurrezione, senza averci almeno salutati prima. Attorno a noi è ancora il buio, in una fede in certi momenti difficile. Allora la mia preghiera, la nostra preghiera si fa impellente implorazione: credo, Signore, aumen­ta la mia fede. La fede nella certezza che mi ami, che lo ami.

Le risposte, le risposte che ognuno di noi cerca e, speriamo, si dà, vanno cercate allo­ra all'interno di questo contesto, il contesto d'amore. Vanno cercate nella preghiera che si fa relazione amorevole e consapevole con il Padre che al di là dei miei limiti, delle mie stupite domande, mi accoglie nel suo abbraccio benedicente.

Il buio allora si squarcia e intravediamo la luce dell'alba del nuovo giorno, il giorno senza fine, la Pasqua. E solo questione di amorosa attesa vivificata dalla speranza.

Se è questo il contesto in cui cercare le risposte, allora anche le domande cambiano. Non più "perché ci è stato tolto?", ma "perché ci è stata fatta la grazia di averlo incontra­to, di avere fatto un tratto di strada insieme, perché questo dono?".

Sta qui il senso del ripercorrere assieme il cammino di questa vita: per fissare il momento in cui le nostre strade si sono incontrate con la sua e analizzare il tratto in cui abbiamo camminato insieme, arricchendoci reciprocamente: che dono è stato per me, che dono sono stato per lui?

D. Redento era nato il 15 luglio del 34 a Faè di Treviso ed entrato giovanissimo, come si usava allora, nel seminario minore di Montecchio Maggiore (VI). Dopo il noviziato (50-51) aveva emesso la prima professione l'8 ottobre del 51 a Vigorie (TO). A Ponte di Piave (TV) emette la professione perpetua il 9 settembre 1957. Dopo gli studi teologi­ci a Viterbo diventa sacerdote il 18 marzo 1962. Ed inizia così la sua attività apostolica: due anni con i seminaristi ad Arcugnano (VI), 7 a Padova presso l'Istituto Camerini Rossi, e poi nuovamente in seminario, con i chierici a Ponte di Piave dal 1971 all'80. Passa quin­di al Brandolini di Oderzo con vari incarichi fino all'85, anno in cui viene trasferito all'Istituto Turazza di Treviso ove nel 92 assume la direzione del CFP. Vi rimane fino al 96 anno in cui assume il compito di economo all'Istituto Costantino di Mirano: scuola ed economia cominciano a pesargli troppo e lo manifesta ai superiori che, due anni dopo (nel 98), lo inviano nella comunità di Ponte di Piave. E, l'altro giorno, la morte. Lo sapeva di essere a rischio. Lo confidava anche, ogni tanto (sono un cardiopatico per ipertensione arteriosa maligna e diabetico; sono, a detta del medico, un soggetto a grave rischio), ma non voleva rassegnarsi a vivere da malato. Anche l'altro giorno, quando è successo, stava trafficando per l'auto.

Io l'ho incontrato al Brandolini dove abbiamo vissuto un anno praticamente in sim­biosi, essendo noi due i responsabili del convitto. Di lui solo due flash di quel tempo: il gran­de impegno e tensione nel voler stare sempre con i ragazzi e poi... i gruppi che seguiva nelle parrocchie e che lo impegnavano nei dopo cena fino a ora tardissima e quando rientrava non andava a letto se prima non si era reso conto che tutto fosse tranquillo. Già un supe­riore provinciale di qualche anno dopo gli chiedeva di andare a riposare non oltre le 23.30!

Si può leggere in tanti modi un simile atteggiamento, io ci vedo una scrupolosa dedi­zione a svolgere i compiti affidatigli, fino appunto a soffrirne e un... primato nella sua gerar­chia dei valori: i giovani - ne perdantur, che non si perdano. Era la sua ansia. I funerali, cele­brati a Campobernardo di cui era amministratore parrocchiale, sono stati la testimonianza che così lo voleva la gente, la sua gente, i suoi giovani, per questo gli volevano bene.

Ora la sua salma riposa nel cimitero di Oderzo nella tomba di congregazione, ove sono raccolti i tanti giuseppini che hanno vissuto al Brandolini e che vi sono morti.

Tra le sue carte sopra il tavolo una immaginetta con una famosa preghiera di M. Teresa di Calcutta: forse un ideale di vita, forse vi trovava esplicitato il carisma dei giu­seppini, forse... voleva lasciarci un messaggio...

Per essere segno dell'amore che Dio ha per l'uomo:

"Non permettere mai che qualcuno venga a te e vada via senza essere migliore e più contento. Sii l'espressione della bontà di Dio: bontà sul tuo volto e nei tuoi occhi; bontà nel tuo sorriso e nel tuo saluto. Ai bambini, ai poveri e a tutti coloro che soffrono nella carne e nello spirito, offri sempre un sorriso gioioso. Da' a loro non solo le tue cure ma anche il tuo cuore".

E allora salutiamo questo nostro fratello con un arrivederci pieno di speranza e, forse con gli occhi inumiditi, raccogliamo quella eredità che ognuno di noi ha ricevuto perso­nalmente da lui e facciamola rivivere in noi e attorno a noi e che dal cielo ci aiuti con la sua intercessione.

d. Ferruccio Cavaggioni sup. prov. ven.



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