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Ci scrivono


Spettabile «Vita Giuseppina»,

ricevo con piacere il vostro periodico e vi ringrazio.

Ho 55 anni e una trentina d’anni fa conobbi a Ponte di Piave p. Egidio Bianchi, una figura che mi piacque immensamente ed ho sentito che sapeva affascinare molte persone…

Scrivo per chiedere un chiarimento.

Un po’ tutti strombazzano che il 2011 è l’anno 150° anniversario dell’unità d’Italia e, a p. 26 del numero di Maggio di Vita Giuseppina, ho letto un articolo che avvalla quest’affermazione…

In realtà 150 anni fa venne semplicemente proclamato il regno d’Italia. Meglio ancora: il regno di Sardegna assunse il nuovo nome di regno d’Italia… Se era già unita perché fare un referendum di unione, nel 1866, per il Veneto e il Friuli? E perché fare nel 1915-18 una guerra per il Trentino e l’Alto Adige?

Buona continuazione di attività e un fraterno abbraccio.

d. Floriano Pellegrini, Zoldo Alto (BZ)


Caro don Floriano,

è vero che si potrebbe discutere su quando cade l’anniversario dell’unità d’Italia e che cosa significhi “Italia unita”. Celebrare il 1861 non vuol dire dimenticare le regioni che furono “unificate” dopo, ad esempio quelle che lei nomina, quasi che contassero di meno. Quella è una data simbolo e noi sappiamo che in tantissime coscienze era ben vivo il pensiero che lo sforzo verso l’unità non era ancora compiuto.

Inoltre, al di là delle formule, conta il fatto che noi ci sentiamo un popolo, una nazione e che molti fattori ci accomunano, nonostante tante diversità locali. Stiamo dunque celebrando i fondamenti che ci uniscono, non ultimo la fede religiosa, con tutto il patrimonio che essa ha recato al nostro paese.

Certo, il processo di unificazione si è svolto in parte anche come annessione e le sue tappe, pure quelle successive al 1861, non sono state esenti da forzature e da macchie. Ma è la storia umana, fatta di luci e di ombre: bisogna pur ammettere che l’unificazione politica poté realizzarsi su qualcosa di condiviso, l’italianità appunto, che le popolazioni “unificate” sentivano, almeno in buona parte dell’opinione pubblica, e soprattutto al Nord (senza dimenticare le zone che sembravano non manifestare il bisogno di essere “liberate” dall’Austria, o che comunque potevano diventare italiane anche senza le centinaia di migliaia di morti della Grande Guerra, perché, come si sa, l’Austria era disposta a concessioni, purché l’Italia rimanesse neutrale nel 1915).

p. Giovenale Dotta



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