L’idea di quest’anno era di arrivare a scuola con un bastone come “Dr. House”, o con look scuro stile “Iene”. Ma non lo farò: la realtà è più bella della fiction: devo solo fare in modo che i ragazzi se ne accorgano. E così, mentre si preoccuperanno di sapere se il mio telefono è un iPhone, e se ho un contatto Facebook, aprirò il computer per cercare il programma giusto per loro. Proietterò qualche scena da alcuni dei loro serial preferiti, li interrogherò sul senso della vita, metterò a nudo i miti del nostro tempo, li indurrò a leggere, li spingerò a riflettere, riporterò all’evidenza come “non c’è niente di più attuale di ciò che è eterno”.
Di solito funziona. Ma non sempre. Sono stati indotti a ritenere che un mondo senza religione e senza credenti sia migliore. Mi diranno: “Ognuno la pensa come vuole”. Magari lo facessero davvero. Sono buoni, ma fanno fatica a pensare. “Prof, ma lei crede?”, mi chiedono spesso. Come se attaccarmi un’etichetta permettesse loro di risolvere la cosa. Sanno riconoscere uno spelucchino e un tumbler là dove io vedo solo coltelli e bicchieri. Ma poi non sanno se è nato primo Gesù o Abramo e, guardando il planisfero, cercano la Palestina sotto il Brasile. È difficile introdurli alla realtà. Non vedono la “convenienza umana” del Cristianesimo.
Non riconoscono la “rendita morale” che permette loro di distinguere tra Bene e Male. Quando impareranno a chiamare le cose con il loro nome? E sarà subito giugno. Le vacanze permetteranno ai ragazzi di smaltire i mal di testa delle mie lezioni. Li rincontrerò al mare o in montagna, a fare la stagione. “Prof, sa che c’ho pensato?”. Lo sapevo! Tra qualche giorno la campanella tornerà a suonare. Non invano. Né per loro,né per me.
Giampietro Peghetti, insegnante di religione di Bologna.
Articolo tratto da “Avvenire” del 14 settembre 2010
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