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"San Leonardo Murialdo" - Sinceri cristiani



Le preoccupazioni legate all’economia e al quotidiano andamento del collegio non distolsero il Murialdo dalla specifica finalità della sua missione educativa: non solo la formazione umana e professionale dei giovani, ma prima di tutto e soprattutto la loro educazione cristiana. Questo era lo scopo primario dell’azione del Murialdo verso i giovani, e questo era il vero “bene” che desiderava e voleva per loro.

Il Murialdo sintetizzava questo suo zelo apostolico con questa espressione di san Giovanni Crisostomo: “ne perdantur”, e così la commentava: «... per carità che i ragazzi non si perdano, che non cadano nell’inferno eterno quei poveri bambini che il Signore ci presenta affinché cooperiamo con lui per salvarli...» (Ep., V, 2156) perché essi sono «immagini vive di Dio, prezzo del sangue di Gesù Cristo, templi vivi dello Spirito Santo» (Scritti, V, p. 6).

Diceva il Murialdo ai giovani artigianelli: «Voi siete in questo Istituto: 1° per essere educati cristianamente, e in 2° luogo per apprendere un mestiere...» (Scritti, X, p. 258), e nel 1883 così si esprimeva: «... il nostro programma, il sistema nostro di educazione è quello di non volere solamente fare dei giovani nostri intelligenti e laboriosi operai, tanto meno farne dei saputelli orgogliosi..., ma intendiamo farne anzitutto degli onesti e probi cittadini e dei sinceri e franchi cristiani...» (Scritti, X, p. 58).

Per raggiungere questa finalità apostolica il Murialdo diede una precisa impostazione religiosa alla vita del collegio con pratiche giornaliere, settimanali e annuali; rafforzò l’insegnamento della catechesi, da lui ritenuta una delle «funzioni più nobili e necessarie» (Scritti, V, p. 23), ministero questo da lui stesso esercitato soprattutto verso i ragazzi che si accostavano alla prima comunione; favorì la pratica sacramentale e la preparazione con tridui o novene alle feste principali del collegio, come quella dell’Immacolata e di San Giuseppe, e a quelle dei santi patroni delle singole categorie di artigiani. Incrementò, inoltre, associazioni tra i ragazzi per aiutarli a vivere cristianamente e per animarli ad essere apostoli in mezzo ai loro compagni. I frutti educativi non mancarono, tanto è vero che dalle fila dei circa 2000 giovani che il Murialdo ebbe durante il suo rettorato, circa 80 giovani divennero sacerdoti.

Proprio in questo contesto formativo il Murialdo, soprattutto per problemi morali, allo scopo di scongiurare mali peggiori, era costretto a dimettere alcuni ragazzi. «Ma poiché esperiti tutti i mezzi della dolcezza, era talora necessario per impedire scandali, venire al rimedio estremo, ossia all’espulsione, il Murialdo vi si induceva, sebbene a malincuore perché sapeva che il bene generale della comunità è da preferirsi al bene individuale. Conoscendo la natura del collegio, nel quale gli Artigianelli si ricoverano non solo per conservarsi buoni, ma ancora e più specialmente per farsi tali, l’espulsione d’un giovane valeva per lui il darsi vinto nell’opera della morale riforma del medesimo; perciò sovente egli era perplesso, e si consultava coi più anziani della casa le due o tre volte, e più ancora si consultava con Dio, portandosi in cappella innanzi al SS. Sacramento. Dopo tutto, inclinava ancor più alla misericordia che al castigo, le lagrime dei giovanetti lo disarmavano, e quasi sempre fu contento d’aver ceduto» (Vita, p. 56).

Diceva il Murialdo che «la miseria morale dei giovani ci deve commuovere più assai che non quella materiale» (Scritti, V, p. 7) e, concludendo il ringraziamento ai giovani in occasione della festa onomastica del 1871, il Murialdo così affermava: «... che nell’estrema mia ora io possa dire: Padre santo, deh!, fa che di quei giovani tutti che mi desti non vada perduto pur uno» (Scritti, IX, p. 420).

 

p. Giuseppe Fossati





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