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"San Leonardo Murialdo" - Cuore di padre.
In mezzo agli assillanti problemi quotidiani, riguardanti la vita dei
ragazzi e il funzionamento del collegio nelle sue strutture, il Murialdo
seppe mantenersi sereno e condurre la sua azione formativa. Scrive don
Reffo: «Chi avesse veduto il Murialdo sempre ilare in volto, col sorriso
sulle labbra, mai o quasi mai soprappensiero, conversare cortese e di
umore sempre uguale, e nelle ricreazioni perfino festevole e gaio,
avrebbe giudicato ch’egli non avesse croci da portare, o le avesse per
lo meno molto leggere… La serenità del suo animo in mezzo a tante pene
era certamente frutto della sua ammirabile rassegnazione e
dell’abitudine fatta a soffrire e tacere per amore di Dio» (Vita, p.
191).
Questo suo atteggiamento si rivelava anche nel suo
comportamento verso i giovani, un comportamento che nasceva dalla sua
fede e dal suo cuore di padre: «Coi giovani adottò il sistema di una
grande dolcezza e di una longanimità a tutta prova, ed a questa univa la
sorveglianza assidua poiché era instancabilmente operoso, non perdendo
mai briciolo della giornata, sempre in piedi, l’ultimo al riposo, il
primo ad alzarsi. Non disdegnava di fare egli stesso le assistenze,
massime nelle ricreazioni o per supplire i maestri mancanti, o per
aggiungere la sua all’opera loro» (Vita, p. 51). Continua il
primo biografo del Murialdo: «Chi aveva a fare con lui restava preso
dalla sua dolcezza e i giovanetti, entrando in collegio, al primo suo
incontro si accorgevano subito di avere a che fare con un buon padre, e
questo allargava il loro cuore e meno sentivano il distacco dai parenti…
Fra tutti i metodi di educazione egli volle adottare quello della
dolcezza. Trattava bene con tutti i giovani indistintamente; era soave
nei modi, civile nelle espressioni, sempre modesto e grave; né lo
distoglievano dal suo fare la rozzezza e l’ingratitudine con la quale
talora era corrisposto; tale dolcezza era in lui partito preso ed
esercizio meritorio di virtù poiché di natura proclive all’ira… Il suo
aspetto grave e severo era sempre raddolcito da un soave sorriso che
invitava a confidenza ed amore» (Vita, pp. 54-56), e ancora: «Sebbene di
carattere forte e vivace, si dimostrava sempre dolce nelle parole e nei
modi, sforzandosi in ogni circostanza di vincere la sua natura» (Vita,
p. 270). Anche quando doveva rimproverare o castigare i giovani,
il Murialdo si mostrava sempre affabile: «Aveva per massima, e
l’inculcava agli educatori, di lasciare sempre una buona impressione nei
giovani che venivano ripresi, e perciò prima di rimandarli alle loro
occupazioni, soleva dir loro parole di elogio o d’incoraggiamento perché
non si perdessero d’animo e non intristissero nel male» (Vita, p. 55). Su
questo aspetto della dolcezza quanto insisteva con gli educatori! Il
suo insegnamento nasceva dalla sua convinzione, dalla sua esperienza e
dalla certezza dei frutti che produceva questo atteggiamento
religioso-educativo. Diceva: «Tutti hanno il compito di attirare i
fanciulli a Dio, e i fanciulli non si attirano a Dio con nessun’altra
calamita che non sia la dolcezza» (Ep., V, 2156), e ancora: «... per
fare del bene ai giovani bisogna essere amato, dirò meglio, ben visto, e
ciò che fa amare e ben vedere è la dolcezza» (Scritti, IV, p. 353), e
concretizzava la dolcezza nella «serenità del volto, nell’affabilità nel
parlare, nella facilità di accostarsi, nella mansuetudine e nella
pazienza» (Scritti, IV, p. 40), cioè nel trattare i giovani in modo
«affettuoso, familiare...» (Scritti, V, p. 26), in particolare i ragazzi
«cattivi» (Scritti, IV, p. 241) e «specialmente i giovani più rozzi e
brutti…» (Scritti, II, p. 164). Il padre Henri Icard, rettore del
Seminario di San Sulpizio, lasciando il Collegio Artigianelli, dopo una
sua visita, disse al Murialdo: «Voi potete fare molto bene perché amate
e siete amato» (Scritti, IX, p. 409).
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