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"Uomini di Dio" - Don Eugenio Reffo.



Perfetto discepolo del Murialdo


Le testimonianze di quanti conobbero don Reffo sono unanimi su questo punto: “Il primo e più illustre discepolo di S. Leonardo Murialdo”. Visse a fianco del Fondatore 34 anni; eletto Superiore Generale, fece suo il motto del Murialdo: “Il Superiore deve reggere principalmente con la preghiera”. Lo dimostrano anche i suoi scritti, dove – specie nelle Circolari e nelle Lettere ai Confratelli – i richiami alla figura, all’opera e alla santità del Fondatore sono continui. Lo dimostra il suo amore alla Congregazione, tanto da ritenersi che l’unica dote che possedeva per essere Superiore Generale era questa.





Multiforme attività apostolica


Anche don Reffo appartiene alla schiera dei “santi piemontesi”, che attuarono e vissero la “spiritualità dell’azione”, senza minimamente cadere nell’eresia dell’azione: “pietà soda e metodica” (appare da tutti i suoi scritti). È sufficiente ricordare ancora una volta i titoli che lo caratterizzano: Confondatore, Legislatore, Superiore Generale, Educatore, Scrittore, Giornalista, Animatore di vocazioni, dotato di profondo e operativo spirito missionario.

Il 2 aprile 1894, a causa di una pallonata sugli occhiali, perse l’occhio destro e nel 1916 anche il sinistro. Con la perdita della vista aumentò in lui la luce interiore, nella rassegnazione: “Io sono cieco da nove anni, e dico tutti i giorni almeno 500 volte: Sia fatta la Santissima Volontà di Dio”. “Pensi che abbia paura di morire? Penso che riacquisterò la vista”.

Spiritualità


Credo di poter affermare, dall’esame degli scritti, che la spiritualità di don Reffo era quella comune del suo tempo, con alcune accentuazioni caratteristiche, che qui enumero brevemente:

A) Assunse san Giuseppe a modello della propria vita e della Congregazione.
“Il nocciolo della santità di D. Reffo è la virtù dell’umiltà, a motivo della quale egli, nella imitazione costante del patrono S. Giuseppe, amò circondarsi di una fitta cortina di silenzio e del più assoluto nascondimento”. E tale voleva che fosse anche la Pia Società: “ Una congregazione che disturba nessuno”. “Chi viene volentieri, venga; chi sta volentieri, rimanga”.

B) Profonda devozione mariana. Specie alla Consolata.
“Ogni sabato (anche da cieco) nel pomeriggio, alle 16.30, andava al Santuario della Consolata”. Lo confermano i suoi scritti mariani.

C) Speciale attenzione alla Messa. Continuamente raccomandava ai sacerdoti questo primo loro dovere.
Valeva per sé e per tutti: “La Messa va detta con fede, con devozione, con preparazione e dovuto ringraziamento; non meno di 25 minuti” (cfr. Circolare del 1° Giugno 1914 e passim). “Un sacerdote è edificante se dice bene la Messa”. “L’opinione di quelli che affermano che la Specie Sacramentali dopo che si sono ricevute non durano tanto, non è la più sicura e molto meno la più devota”.

D) Alcune note di fondo. Le posso ridurre a tre:

- Buon senso spirituale e saggezza. Buon senso, accompagnato da intelligenza e santità. Diceva: “Per ora, al lume del buon senso, mi pare..”. Specie nelle lettere ai confratelli appare questo atteggiamento di fondo. Così anche nei suoi commenti alle Regole: vi aleggia un profondo “senso spirituale” e “pratico”. Soprattutto nelle diatribe giornalistiche egli usò l’arma del buon senso…

- Visione sostanzialmente ottimista. Cita più il passo I Giovanni 5,19 (Mundus totus in maligno positus est), ma commenta: “Sia pur cattivo quanto si vuole il mondo, Gesù è buono, e la misericordia di Dio è più grande della sua giustizia”.

- Con una buona dose di humor. Non solo nella commedia e nelle farse, che comunque sono una manifestazione della sua indole umoristica e allegra, tanto utile tra i giovani, ma anche nei suoi scritti più seri, come nelle lettere, dove traspaiono, come sue armi, l’entusiasmo, il brio, la convinzione.

p. igino Tubaldo, imc

Tratto da AA.VV. “Per conoscere d. Reffo amarlo e invocarlo”, Roma




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