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d. Guido Lorenzetto (10/12/1948 - 7/3/2008)



Conegliano (Treviso), 10 dicembre 1948

Mirano (Venezia), 7 marzo 2008



« In sintesi mi trovo in sintonia con l’amico-fratello-padre del Murialdo
e già in questa definizione per me c’è tutto ».
(d. Guido - 1989)


Il Signore ha chiamato a sé d. Guido Lorenzetto la sera del 7 marzo 2008.

Terminata la cena, i confratelli avevano lasciato il refettorio per ritrovarsi in sala TV o per impegni personali. Don Guido rimase in refettorio e poco dopo un confratello lo trovò con il capo reclinato sul tavolo. Un infarto cardiaco lo aveva colpito in modo fulminante. L’intervento del 118 dal vicino ospedale di Mirano, la corsa al Pronto Soccorso, non valsero a nulla.

I funerali si sono svolti nel pomeriggio di martedì 11 marzo 2008 nel duomo di Mirano, gremito da moltissima gente, tra cui il papà di don Guido, signor Bruno, i due fratelli e la sorella con le rispettive famiglie, giovani del CFP di Mirano, ex allievi, collaboratori delle associazioni legate a don Guido, colleghi ed amici.

Insieme ad un grande numero di confratelli hanno concelebrato il vicario generale della diocesi di Treviso, mons. Rizzo, in rappresentanza del vescovo diocesano, il vicario episcopale per la pastorale, diversi sacerdoti della zona pastorale di Mirano.
Don Guido è stato poi sepolto nella tomba di congregazione nel cimitero locale di Mirano.




Celebrare la fede

L’essere stati in tanti a celebrare i funerali di don Guido è stato un bel segno di stima e di affetto verso di lui e verso i Giuseppini. Inoltre la morte improvvisa di un conoscente in una età ancora relativamente giovane, suscita sempre una forte commozione e qualche domanda.

Tuttavia per noi credenti rimane punto fermo il dato della fede: proprio in questi momenti siamo chiamati a riscoprire Gesù in mezzo a noi, Colui che morto e risorto è primizia di ogni risurrezione, alla luce della quale il cuore si apre alla speranza. La fede non cancella il dolore ma ci invita a guardare oltre e collocare la realtà in un orizzonte più vasto.

La lettura dal profeta Ezechiele (Ez 37,12-14) ha ricordato a tutti che il Signore è fedele alla sua promessa: «Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete»; il brano delle beatitudini (Mt 5, 1-12) ha posto tutti di fronte ad un serio esame della propria vita per capire su quali binari stia correndo. Inoltre mi sono sembrati molto opportuni il salmo responsoriale ed il ritornello ad esso collegato. Con il salmo (Sal 129, detto il De profundis) abbiamo rivolto al Signore la nostra voglia di gridare le nostre domande e i nostri dubbi; con il ritornello abbiamo proclamato ad alta voce «Il Signore è bontà e misericordia», riaffermando la nostra fiducia, il nostro abbandono, il nostro stare da figli di fronte al Padre.

È stato un anticipo della Pasqua di Cristo, chiedendo al Signore di unire don Guido alla sua risurrezione per associarlo alla comunione eterna con Dio.


Una esistenza breve ma intensa

La biografia di don Guido è presto raccontata.
Nacque il 10 dicembre 1948 a Conegliano e nel 1964 entrò nel noviziato a Vigone, terminando questa tappa fondamentale della formazione con la prima professione religiosa il 29 settembre 1965. Dopo gli studi triennali a Ponte di Piave, fece il tirocinio a Oderzo, dal 1968 al 1971. Professo perpetuo dal 1972, divenne sacerdote a Viterbo il 18 marzo 1976. Quindi il giovane sacerdote don Guido fu destinato prima a Treviso all’Istituto “Turazza” (1976-1983) e poi all’Istituto “Giulio Costantino” di Mirano (1983-2008).

Laureato in lettere e esperto di cinematografia, attento alle problematiche famigliari e educatore per missione, don Guido ha servito la congregazione e la chiesa soprattutto spendendo la sua vita in mezzo ai giovani e facendosi carico di problematiche che lo portavano ad incontrare persone bisognose soprattutto di amicizia, di ascolto, di sostegno.

Ogni anno, da tempo, don Guido faceva la lista dei suoi impegni. Per l’anno 2007 aveva previsto: insegnamento nel Centro Professionale di Mirano, attività con il cinema (Presidente interregionale ACEC TRIVENETA, delegato diocesano ACEC di Treviso, visione di film e recensioni settimanali su “Vita del Popolo”, trasmissioni settimanali su RADIO VITA, conferenze e corsi di cultura cinematografica, membro dell’Associazione di famiglie affidatarie “FAMIGLIA APERTA”, animatore di un gruppo di giovani famiglie a Cappelletta di Noale, lezioni su mass media e cinema alla UNIVERSITA’ DELLA LIBERA ETA’ di Spinea, contatti con ex allievi di Treviso e di Mirano, e altre attività su richiesta presso parrocchie, specie nel campo dei problemi educativi.

Un lavoro intenso, portato avanti con competenza, ricercato anche per quel modo di porgere il proprio pensiero e di stare con i propri interlocutori, che non aveva nulla di clericale, capace di interpellare in profondità e di proporre valori “alti ed esigenti”.
La sue agende testimoniano dei vari impegni. Ogni giorno, dopo la scuola nel CFP, vi è sempre segnato qualche altro appuntamento. Ho notato che proprio nel giorno 7 marzo la pagina è rimasta bianca: questa volta non don Guido, ma Dio aveva stabilito un appuntamento.


Un educatore, soprattutto

Don Guido è stato prima di tutto e soprattutto un educatore. Lo dicono i tanti anni passati a scuola come insegnante, lo prova il rapporto che sapeva instaurare con i suoi alunni e con quanti che a lui facevano riferimento, specie se ex allievi, nei momenti belli o meno felici della propria vita.

In uno scritto del 1989 è lo stesso don Guido che presenta il suo metodo educativo: «Io sono convinto che il rapporto educativo sia il frutto di un’alchimia difficile da realizzare: alla base c’è affetto, interesse sincero, empatia, rispetto profondissimo per le persone. E poi c’è la scelta reciproca perché ogni “educando” sceglie il proprio educatore. E lo sceglie in base alle qualità umane che più gli si confanno in quel particolare momento. Il coinvolgimento tra le persone è totale, perché il rapporto cresce e matura con il tempo e, soprattutto, è reciproco: come matura e impara il giovane, così maturo e imparo io. La carta vincente, poi, è quella dell’ascolto: fare da cassa di risonanza a persone in crisi di identità, non giudicare, “accompagnare” le scelte autonome e responsabili, “turbare” le coscienze “costringendole” a guardasi dentro ».

In base a questi principi il “prof. Guido”, come lo chiamavano i suoi studenti, non era per nulla tenero ed esigeva che il patto educativo fosse rispettato da ambo le parti, insegnanti ed alunni, con il massimo impegno e coinvolgimento. Sappiamo di alcune sue scelte, come la rinuncia ad entrare in aula di fronte alla passività degli alunni, che hanno messo in crisi una classe, imbarazzato i colleghi, fatto discutere in comunità. D’altra parte fare diventare la biblioteca un punto qualificante in un percorso di formazione professionale, è credere che i giovani possono ancora rispondere a chi li sa e li vuole impegnare per la propria maturazione umana.


Religioso e sacerdote, fuori dagli schemi

I confratelli che hanno condiviso con don Guido la vita in comunità e in congregazione, qualche volta si sono chiesti quali fossero i valori che don Guido aveva scelto come fondamentali per la sua vita da religioso e da prete, anche a fronte di alcuni comportamenti che, soprattutto i superiori, facevano difficoltà a capire e a condividere.

Una prima risposta ci viene dallo stesso don Guido che in una lettera confessa che l’essere scelto a modello o a punto di riferimento da parte di giovani e di confratelli lo mette tremendamente in crisi. E scrive: «Il mio rapporto con Dio traspare da quello che dico o faccio. È vivendo che faccio teologia (= parlo di Dio). È vivendo che una persona che mi accosta dovrebbe trovare un riflesso della presenza di Dio nel mondo… Io che sono alla ricerca di Dio come faccio a dire agli altri cosa Dio vuole?».

Un confratello offre questa testimonianza: «Il punto di riferimento di d. Guido era il vangelo, direttamente senza le interpretazioni di regole fissate da uno o l'altro organismo: il vangelo nella sua genuinità e nella sua carica dirompente. Grazie a questo unico riferimento al vangelo si sentiva libero e liberato, perché il vangelo è liberante e, per salvaguardare questa sua "libertà evangelica" pagava anche di persona. Era uomo e prete e religioso fuori dagli schemi. D'altro canto il vangelo non è una imposizione, ma una proposta. Delle proposte evangeliche si sforzava di vivere soprattutto la povertà, che per lui voleva dire essenzialità, ricerca dell'essenziale, donando tutto il resto, e più si è essenziali con se stessi, più si dona. Ed ecco l'altro aspetto suo evangelico: la carità che per lui voleva dire, coinvolgimento personale con chi vedeva nel bisogno, maggiormente nel bisogno. Il suo insegnamento (a tutti i livelli) era costruito sempre come proposta forte, che doveva arrivare attraverso il dialogo, ma che anche lasciava completamente liberi: aiutare a liberarsi dai condizionamenti e dagli stereotipi, ma anche aiutare ad essere liberi per scegliere, senza l'ipocrisia di sostituire i condizionamenti con altri condizionamenti più o meno moralistici. Quindi i suoi pilastri costruiti sul vangelo: libertà, povertà, carità. Il tutto vissuto in verità, aborrendo da ogni tipo di retorica».

Quando si parlava con don Guido si percepiva qualcosa della sua esistenza e del suo modo di vedere le persone e di leggere le situazioni, fondati su alcuni valori e convinzioni ben motivate, espresse in modo lineare, dove sarebbe stato difficile distinguere l’umano dal religioso, secondo il principio che la stessa condizione umana è luogo teologico, preferendo quindi una lettura che partiva dalla concretezza dell’esistente.

Il dialogo con don Guido poteva essere difficile quando si trattava di fare un confronto con una regola, con dei programmi, con delle scelte ai diversi livelli. «Per noi le persone dovrebbero sempre venire prima di regole, codici, ecc. – ha scritto don Guido in una lettera - Mentre spesso utilizziamo la norma per discriminare le persone (ai grandi come ai piccoli livelli)». È stato un punto fermo del suo modo di affrontare questioni legate alle persone o alle strutture organizzative. Ringrazio don Guido perché ha voluto sempre impostare un dialogo come un discorso tra persone adulte, che sanno ascoltarsi, motivare le proprie affermazioni, condividere e comunicare le rispettive conoscenze. Manifestava disagio e insofferenza se avvertiva che il dialogo fosse solo una formalità, visto che le decisioni erano già state prese; non accettava che le comunicazioni fossero parziali nel contenuto e appannaggio di pochi. Molti confratelli ricordano le lunghe discussioni in assemblee e capitoli, forse qualche insistenza di troppo e qualche impuntatura sopra le righe, ma sempre onestà e competenza, e mai per interesse personale.

Adesso che don Guido può vedere persone e situazioni da un altro punto di vista, forse non è importante sapere se egli coglie con chiarezza il torto e la ragione, mi basterebbe sapere che oggi scoprisse più di prima che anche nei superiori, ci sono affetto, stima, sincerità, dialogo aperto, accanto ad inevitabili limiti e condizionamenti legati alla persona e al ruolo.


Un impegno per i giovani

Infine, una parola per i giovani che lo hanno avuto come insegnante. Se domani nella vita realizzerete tanto di bello, di buono, di vero e potrete dire che questo ve lo ha insegnato don Guido, sarà il più bel ricordo e il più bel grazie per lui; è come se don Guido in qualche modo continuasse ad essere presente. Don Guido ha compiuto l’opera del seminatore, e se n’è andato, il buon raccolto sarà vostro, nella fedeltà a quanto avete ricevuto.

E chissà che nel ricordo di don Guido qualche giovane non scelga di essere a sua volta educatore, dalla parte dei giovani più bisognosi, nel nome del Murialdo!

p. Tullio Locatelli, c.s.j.
superiore provinciale





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