Si è addormentato nel Signore la mattina di sabato 23 febbraio 2008, nella sua camera presso la struttura di accoglienza “San Giovanni Battista” in Saviano, Napoli. Erano le 5.30. Colpito da ictus il giovedì precedente, non aveva più ripreso coscienza, spegnendosi, assistito dalla sorella suor Maria Pia e dai confratelli della comunità di San Giuseppe Vesuviano.
Da alcuni anni p. Giuseppe combatteva contro la malattia dell’alzeimer, che un poco per volta lo aveva reso impacciato nei movimenti e sempre più debole nel conoscere e nel gestirsi. Per questo all’inizio del settembre 2007 aveva lasciato la comunità di Rossano ed era stato ricoverato, nella speranza che questo giovasse meglio alle sue condizioni di salute. La morte è arrivata improvvisa, contro ogni ragionevole previsione che il Signore, pur nella debolezza della salute, gli donasse ancora degli anni di vita.
Gesù disse: «Dammi da bere» (Gv 4,7)
Domenica 24 febbraio abbiamo celebrato la messa esequiale di p. Giuseppe nel santuario di San Giuseppe Vesuviano, suo paese natale. Ricorreva la terza domenica di quaresima e la liturgia della Parola ci ha proposto la pagina del vangelo di Giovanni che narra dell’incontro di Gesù con la Samaritana. Al centro del racconto c’è un pozzo, dell’acqua, delle persone che hanno bisogno di bere. Soprattutto l’immagine di Gesù che chiede da bere, mi è sembrato lo spunto per leggere la vicenda terrena di questo nostro confratello.
Che cosa è infatti la nostra vita consacrata se non un fare propria questa sete di Gesù in rapporto alla nostra vita, alla salvezza degli uomini? In forza della vocazione siamo chiamati prima di tutto ad abbeverarci dell’acqua che è Gesù stesso, e poi a partecipare alla sua sete, intesa come bisogno e desiderio che il suo annuncio sia portato ad ogni uomo?
Incontrare Gesù “acqua viva”
Allora possiamo immaginare la prima tappa della vita di p. Giuseppe come il tempo nel quale egli fa propria la sete di Gesù, accostandosi a Gesù che si presenta come capace di dare acqua viva (Gv 4, 10).
Quest’acqua viva p. Giuseppe l’ha incontrata nella famiglia, dove nacque il 28 giugno 1928, nel paese di San Giuseppe Vesuviano. In questa famiglia oltre al nostro p. Giuseppe fiorì anche la vocazione religiosa di una sorella, suor Maria Pia, della congregazione delle Figlie della Croce di Liegi. Gli anni della fanciullezza sono anni difficili per la morte del papà, ma anche di intensa partecipazione alla vita della parrocchia che stava vivendo i tempi gloriosi dei primi anni dei Giuseppini in paese, della costruzione del santuario, dell’Azione Cattolica, del grande numero dei chierichetti e delle varie attività oratoriane.
In questo clima p. Giuseppe matura la sua vocazione, accettando il sacrificio di lasciare il suo paese proprio nel cuore della seconda guerra mondiale. Infatti si reca a Viterbo presso l’Istituto “San Pietro” per gli studi ginnasiali, 1943-1945, quindi a Vigone, Torino, per il noviziato (1945-1946) e a Ponte di Piave, Treviso, 1946-1948, per gli studi liceali. Dal 1948 al 1951 il chierico Giuseppe è destinato all’Istituto “Murialdo” di Albano, presso Roma, per compiere il periodo del tirocinio.
L’allora direttore del “Murialdo” di Albano, p. Aurelio Del Signore, così scrive del chierico Giuseppe: «Non è stato mai ammalato. Come tutti quelli che incominciano il magistero anche il ch. Del Giudice ha trovato quest’anno serie difficoltà tra i giovani sia nel campo disciplinare come in quello scolastico. Ha però felicissimo carattere perché né si scoraggia, né perde eccessivamente la pazienza. Ama la congregazione e i suoi ministeri; ha spirito di sacrificio e pietà soda. Ama lo studio. Non frequenta troppo il rendiconto, per cui si tiene lontano alquanto dai superiori; dato questo, forse, dal suo carattere un poco timido. Nell’insieme si è soddisfatti di lui e si pronostica bene».
Un quadro molto realistico, che permette al chierico Giuseppe di chiudere il periodo del magistero con la professione perpetua, il 7 settembre 1951, a Vico Equense, Napoli. Il quadriennio teologico a Viterbo completa la sua preparazione al sacerdozio; divenne presbitero il 26 marzo 1955 a Viterbo, nella chiesa di Santa Rosa.
Le varie relazioni in occasione di rinnovazione dei voti e di presentazione al ricevere i ministeri legati al sacramento dell’ordine, confermano che don Giuseppe sta compiendo un cammino serio, lineare, si sta veramente abbeverando a quell’acqua viva che è Gesù.
Portare Gesù, acqua viva per la salvezza del mondo.
Terminato il tempo della formazione iniziale, inizia il tempo di un modo nuovo di partecipazione alla “sete” di Gesù: occorre adesso rendersi testimoni del dono della salvezza e portare Gesù a tutte quelle persone che in qualche modo ci vengono affidate; annunciare che Gesù è l’acqua viva che tutti cercano e alla quale tutti possono placare la loro sete.
Il novello sacerdote p. Giuseppe viene mandato di nuovo ad Albano. Vi trascorre quindici anni (1955-1970), impegnato nell’insegnamento delle lingue straniere, per le quali è particolarmente portato. I tempi dell’insegnamento in classe e di assistenza in cortile, si alternano alle ore per lo studio della laurea in lettere (1956), poi dell’abilitazione professionale per l’insegnamento della lingua e della letteratura inglese (1963).
P. Giuseppe ci tiene ad una preparazione accurata e profonda per questo a Londra frequenta un corso di perfezione in lingua inglese (1961) e a Parigi ottiene un diploma in lingua francese (1966).
Nel 1970 accetta per obbedienza di essere nominato direttore e parroco a Rossano Calabro, Cosenza. Un cambio certamente in parte sofferto e in parte desiderato, ma che soprattutto metterà in luce di p. Giuseppe quei tratti di religioso e di sacerdote con i quali ha vissuto la sua missione in mezzo alla gente e nella nostra congregazione. Direttore e parroco: un servizio che p. Giuseppe svolgerà fino a che le forze lo sosterranno.
Dopo nove anni a Rossano, troviamo p. Giuseppe a Foggia, Opera San Michele, (1979-1988); a San Giuseppe Vesuviano, Napoli, (1988-1994); dopo un anno a Lucera, ancora direttore-parroco a Taranto, (1995-2001).
La gente ricorda p. Giuseppe in giro per la parrocchia, preoccupato di farsi presente nelle famiglie specie quando la sofferenza o qualche altro problema mette a prova la fede verso Dio e la sua Chiesa, e mette in crisi le relazioni tra le persone. Non è il parroco che sta in ufficio, anzi. I poveri ricorrono spesso e volentieri a lui, che non sa dire di no. In comunità e in parrocchia non mancano i problemi: p. Giuseppe li affronta con pazienza, diventando per i confratelli un sostegno e per i parrocchiani un chiaro punto di riferimento. Ha uno sguardo pieno di vivacità, una intelligenza pronta e un passo svelto: tutto messo a disposizione, tutto messo a servizio.
Padre Giuseppe Rainone lo ricorda così: « Ho appreso con rammarico la notizia della morte di p. Giuseppe Del Giudice. Ho conosciuto p. Giuseppe Del Giudice fin da giovane giuseppino a Foggia e mi ha sempre offerto un esempio di come “affidarsi nelle mani di Dio”: il suo stile di vita è sempre stato sobrio, essenziale, laborioso, povero. L'ho incontrato alla fine dei suoi anni come serenamente rassegnato a “consegnare tutto nelle mani Dio”. Lui che, dovunque è stato, ha interpretato l'apostolato giuseppino come uno spendere tutta la propria vita a servizio dei giovani e della gente. Continuava a ripetermi (anche a Rossano, quando ormai la malattia manifestava i primi segnali) che l'unica cosa importante per il futuro della vita consacrata era essere dei “mistici”, uniti quotidianamente a Dio. Con la sua morte, si è realizzato il suo “sogno” di consacrato giuseppino. Che il buon Dio lo ricolmi con la sua grazia e vita in “abbondanza”»!
Gesù sulla croce: «Ho sete» (Gv 19,28)
Non è difficile immaginare che in questi ultimi anni p. Giuseppe sia stato associato a questa espressione di Gesù, detta dalla croce. Con l’inizio della malattia, quando è già di nuovo a Rossano a partire dal 2001, p. Giuseppe costata ed accetta che è l’ora della testimonianza sofferta e silenziosa, del dare tutto senza trattenere nulla. Si sente chiamato ad una nuova e rinnovata partecipazione alla “sete” di Gesù; sempre meno per le strade a portare la comunione agli ammalati, sempre più chiuso in casa; sempre meno all’altare a predicare e ad annunciare, sempre più accompagnato per ogni necessità.
Padre Antonio Molinaro scrive: «A Rossano p. Giuseppe ha vissuto gli ultimi anni del suo servizio e della sua vita. Mi resta il ricordo del suo canto preferito che spesso cantavamo insieme:
Credo in Te, Signor… Spero in Te, Signor… Amo Te, Signor… Mi resta l’amore e la generosità con cui i confratelli e i laici di Rossano lo hanno curato durante gli ultimi tempi della sua malattia. Prega per noi p. Giuseppe, noi ti ricordiamo con affetto e gratitudine».
Non è lecito a nessuno entrare nel cuore di una persona per conoscere che cosa stia avvenendo in questo periodo delicato della vita, ma ricordando alcuni brevi incontri con p. Giuseppe sento di doverlo ringraziare perché il sorriso non si era spento, perché continuava a manifestare la gioia di incontrare confratelli e parenti, perché si è fatto voler bene da tutti fino alla fine.
La vita di p. Giuseppe si è aperta e chiusa nella luce del santuario di San Giuseppe Vesuviano e a san Giuseppe, custode del Redentore, affidiamo questo nostro confratello, perché dopo averlo protetto e custodito nella fedeltà alla vocazione sacerdotale e religiosa, lo presenti al Redentore perché per sempre goda dei frutti della sua morte e risurrezione.
Ringrazio tutti i confratelli e i parenti per l’assistenza fraterna prestata a p. Giuseppe e a tutti chiedo, anche nel ricordo di questo nostro confratello, una preghiera speciale per le vocazioni religiose e sacerdotali.