• Possagno (Treviso) 13 agosto 1933
Durazzo (Albania) 8 ottobre 2001
- Non e 'è amore più grande che dare la vita - Se il seme caduto in terra non muore non portafrutta - Chi mi ama prenda la sua croce e mi segua e dove sono io sarà anche lui -sull 'altare, sul calvario, nel mio regno... - Amate, amate anche i nemici - Non temete coloro che uccidono il corpo - non vi toglieranno la vita - Né vita né morte ...nulla vi può separare da me.
Sono le parole di Cristo, le parole della fede. Le uniche che possiamo ripeterci per attingere consolazione e riprendere coraggio in un momento di così grande sconforto.
Non capiremmo nulla della vita e della testimonianza di p. Ettore, della sua santità e degli insegnamenti che ci lascia, se non partissimo da queste parole.
Tutti insieme, numerosissimi: parenti, confratelli, amici, giovani e anziani che hanno ricevuto da lui benedizione, doni dello Spirito, grazia e consiglio, ci sentiamo uniti nello stesso dolore.
Nel vuoto che sentiamo dentro si affollano infinite domande: perché, perché così, perché a lui? E, inevitabilmente, siamo tutti tentati di riandare al passato e giudicarlo, cercando in mezzo a noi o fuori di noi, cause, colpe, responsabilità.
Pochissime sono le risposte che riusciamo a darci e, se non ci liberiamo dal giudizio terreno, rischiamo tutti di perderci e di non capire più.
Cerchiamo le risposte, fratelli e sorelle, nelle parole stesse che tante volte abbiamo ascoltato da p. Ettore, cerchiamole nel suo esempio, e capiremo 'qualcosa' che aprirà alla luce che scaturisce dalle tenebre dell'ultima ora: luce di martirio che svuota il delitto, luce di risurrezione e di vita eterna, lode suprema e ringraziamento a Dio!
L'evento di p. Ettore, non è soltanto quello dell'ultima ora tragica, ma dell'intera sua vita. È un'espressione mirabile e preziosa del mistero della vita, di una vita ricevuta da Dio, e spesa tutta per amarlo e servirlo: - senza mai resistere al suo volere, - senza mai allontanare o escludere nessuno di coloro che in lui vedevano il riflesso della presenza autentica del Signore, e nei quali indistintamente, sotto qualsiasi apparenza di bene o di male, con la forza della sua fede, p. Ettore sapeva scorgere il volto di Dio.
Di fronte al mistero conviene il silenzio e la contemplazione di Dio, che lo ha guidato:
nel pellegrinaggio e nella consacrazione,
nell'apostolato giuseppino, come insegnante ed educatore del cuore dei suoi giovani,
nel servizio alla sua famiglia religiosa come formatore delle sue speranze e come superiore responsabile di comunità e di opere,
nel mistero sacerdotale come parroco e guida spirituale attento al mistero della sofferenza che opprime e sconvolge le famiglie e disorienta i cuori degli uomini.
La mano di Dio lo ha condotto da una città all'altra fino al luogo e al giorno conosciuti fin dall'eternità. L'8 ottobre del 1951 Ettore, con la passione dei suoi 18 anni - essendo nato a Possagno (TV) nel 1933 - si era consacrato per la prima volta a Dio nella Congregazione dei Giuseppini del Murialdo. L' 8 ottobre 2001 - cinquant'anni dopo - il Signore lo ha colto, dal lago del suo sangue versato come vittima di amore totale, a suggello di quella consacrazione vissuta sempre più in pienezza, fino al compimento sulla sua croce: tutto è compiuto - nelle tue mani affido il mio spirito.
Non possiamo meravigliarci in fondo di questo tragico evento. In un mondo di violenza il 'Male' non sopporta la presenza e la testimonianza dei santi e di chi si sforza di esserlo, non si vergogna di seminare indiscriminatamente la morte.
Chi ha vissuto con p. Ettore può ripetere con me: se i Giuseppini del Murialdo dovevano avere un martire tra di loro, questo non poteva essere che lui: - per la sua coerenza di vita, - per la sua passione radicale per Dio, - per il suo zelo che non conosceva limiti di tempo e condizionamenti di salute. Se vogliamo parlare di eccesso, è vero, si è trattato in lui sempre di eccesso di amore e di servizio ai fratelli più poveri e peccatori.
Guidato da Dio che con discrezione e sapienza si serve delle circostanze della vita e del discernimento degli uomini, p. Ettore ha percorso un cammino in salita, che non può essere valutato con le categorie mentali di questo mondo.
Fu sempre cagionevole di salute, secondo la valutazione dei medici e dei chirurghi, che lo sottoposero più volte a delicati interventi. Ma in corpo spesso dolorante si dimostrò resi-stentissimo al dolore, agli acciacchi, alle terapie.
Giovane giuseppino tra gli orfani di guerra a Viterbo. Giovane sacerdote - ordinato a Viterbo nel 1962 - fino al '72 è tra gli aspiranti della provincia romana a S. Giuseppe Vesuviano alternando la preghiera e il lavoro con i compiti propri della direzione spirituale e uno studio intenso che oltre la teologia lo ha portato alla laurea in lettere e all'abilitazione in filosofìa e scienze umane.
La Congregazione gli ha chiesto poi di impegnarsi per alcuni anni nell'insegnamento al Collegio Murialdo di Albano Laziale, e si sono aperti per lui vasti campi del rapporto educativo personale, diffìcile e delicato, tra i giovani liceali dei primi anni '70. Un campo di apostolato, questo tra gli studenti, che anche con altre mansioni, fino all'ultimo non avrebbe più abbandonato.
Venne poi per p. Ettore il tempo della responsabilità in prima persona, su confratelli, giovani e attività, prima in Acquedolci in Sicilia, dal '74 all"82, poi come direttore in quest'Opera S. Pio X e parroco in questa chiesa dell'Immacolata, dal 1982 all"88. Un'esperienza pastorale che ha segnato fortemente lui e i cui effetti sono ancora oggi indelebili.
L'ambito della sua azione si è fatto ancora più vasto, come superiore provinciale dal 1988 al 1994. In questo tempo fu lui il promotore e il difensore della presenza missionaria in Albania, dove già allora cominciò a desiderare di spendersi con entusiasmo e coraggio. Durante il suo mandato sono stato personalmente testimone della crescita esponenziale del suo zelo e della sua passione neh'affrontare i problemi delle persone, dei confratelli e delle comunità come delle famiglie. Sempre più numerose diventarono le persone che trovarono in lui riferimento e guida spirituale, disinteressata e profonda. Non sempre era facile comprendere quello che capiva e prevedeva lui nel mistero delle coscienze!
Poi come superiore di comunità e parroco a S. Giuseppe Vesuviano fino al 1997, vide moltiplicarsi attorno a lui la sete e il bisogno di comprensione e liberazione, di aiuto spirituale e di risanamento morale. Quando fu trasferito alla direzione dell'Opera di Cefalù dal '97 al 2000, fu sempre più chiara in lui la convinzione che il Signore gli aveva affidato una missione di natura spirituale che non poteva più essere circoscritta da tempi, luoghi o destinazioni diverse.
Doveva quindi salire l'ultimo gradino del percorso stabilito dal suo Signore: quello più alto e nobile nella dedizione assoluta che la mentalità di questo mondo non capisce, quello che avrebbe portato sulla collina del suo calvario. Il resto, dallo scorso novembre a Fier e dal 25 marzo a Durazzo, tra la gente povera che amava e voleva servire, già circondato dalla stima di molti e dalle speranze di un bel gruppo di giovani, è storia recente che alla luce della conformità al disegno di Dio e alla sua parola, ci sforziamo di comprendere.
Il suo sacrificio è un fuoco che arde. Chiediamo, per la sua intercessione, che ci illumini e ci purifichi, per essere degni della sua memoria.
(Dall'omelia dip. Luigi Pierini, Superiore Generale dei Giuseppini del Murialdo, in occasione del rito funebre celebrato nella chiesa dell'Immacolata di Roma in data 13 ottobre 2001).
E SE...
E se il Signore ci amasse ancora con amore di predilezione, credesse ai buoni propositi e ci offrisse un'ultima possibilità?
E se fossimo uomini di contemplazione continua?
E se contemplassimo il cielo aperto e gli angeli di Dio scendere e salire per noi?
E se portassimo sempre addosso Cristo pane di vita per noi e per gli altri?
E se rimettessimo in funzione il terzo occhio per vedere e sentire tutta la forza del bene e del male che è in noi e intorno a noi?
E se oltre lo psicologico o il patologico ci fosse un altro mondo spirituale alla nostra portata?
E se ci appassionassimo anche ostinatamente sulle nostre idee, ma ci volessimo bene sul serio?
E se la smettessimo di fare le vittime?
E se il nostro io fosse una semplice parte di noi?
E se guardassimo e avvicinassimo il fratello sforando la corteccia dell'apparenza?
E se ci fidassimo di quanto i superiori legittimi ci propongono a nome della congregazione?
E se lasciassimo la valigia sempre a portata di mano per essere laddove il Signore ci vuole, se a parlare sono i superiori ed i bisogni delle anime affidate alle nostre opere?
E se cancellassimo le liste dei confratelli "sì" e dei confratelli "no"?
E se fossimo poveri di spirito sul serio e non ci nascondessimo dietro le esigenze apostoliche per possedere di tutto?
E se ci misurassimo nel nostro modo di essere e di vivere con i più poveri del nostro ambiente di lavoro?
E se, vecchi, borbottassimo di meno, smettendola di affermare di aver fatto tutto bene solo noi; e se, giovani, sapessimo stare meglio con i nostri vecchi?
E se nel nostro agire apostolico fossimo meno..."nepotisti" e ci ricordassimo anche di persone critiche nei nostri confronti?
E se oltre ad essere raffinate guide spirituali ed esperti animatori conservassimo un po' del giuseppino anche..." puliscicessi"?
E se sapessimo sorridere anche quando il corpo e lo spirito soffrono?
E se avessimo una forte ed esplicita visione di fede accostando il fratello?
E se avessimo la forza dello Spirito di dirci e fare la verità nella carità, anziché tacere o buttarci addosso macigni di nostre verità?
E se ci accorgessimo dei doni di guarigione che il Signore ci ha donato con l'imposizione delle mani?
E se fossimo un po' meno cosiddetti leaders e un po' più umani?
E se legassimo e ancorassimo ben bene le persone a Dio e non a noi stessi?
E se tutto questo ed altro fosse il dono di p. Ettore e del suo martirio?
p. Cesare Cotemme