Castagnole di Paese, 15 giugno 1922
Treviso, 19 marzo 2004
P.
Ferruccio Badesso ci ha lasciati alle prime ore della festa di S. Giuseppe. Il
male che da qualche tempo lo affliggeva (un tumore) ha avuto la meglio sulla
sua forte fibra.
Nato a Castagnole di Paese il 15 giugno del 1922, dopo il noviziato a
Vigone (To) il 29 agosto del 40 emette la sua prima professione nella
congregazione dei Giuseppinì e nel 45 la
professione perpetua: sarà giuseppino convinto, per sempre. Nell'ottobre del 42
viene inviato nel suo primo campo di apostolato a Padova nell'Istituto Camerini
Rossi. Scrive: "quattro lunghi anni di
guerra, dormendo vestito per 7 mesi, alzandosi 3 volte alla notte,
mangiando gallette militari vecchie, dure e ammuffite, fichi secchi divisi per
metà e minestre slavate...". "Ciononostante, è sempre lui che scrive,
nella maturità, pieno di entusiasmo nel
1946 è partito con un treno merci alla volta di Viterbo per gli studi teologici,
con 12 compagni coraggiosi...".
Ordinato
sacerdote a Viterbo il 4 marzo del 50, fu destinato nell'ottobre successivo al
collegio Brandolini Rota di Oderzo dove, ottenuta l'abilitazione come
insegnante di educazione fisica, "si è dato a corpo morto ad insegnare ai
giovani studenti corse, salti e lanci,
ottenendo risultati strepitosi a livello regionale, nazionale e olimpico".
Era profondamente convinto della bontà dello sport come metodo
educativo e i risultati gli davano ragione. In un momento in cui la disciplina
dei collegi era imposta e subita come un sofferto
imperativo categorico, d. Ferruccio cercava di motivarla, di darle un volto
umano, di passare da una educazione tutta impostata sul "si deve
fare così", ad una educazione che passasse attraverso la relazione,
attraverso il cuore, attraverso la stima. Forse tra i primi nella nostra congregazione ad avere una
concezione nuova del modo di essere in mezzo ai giovani. Un'altra
caratteristica del suo modo di fare: la competenza, pretesa da sé, ma anche
dagli altri. Con bonomia, ma esigeva da sé di essere competente,
l'aggiornamento continuo, e spingeva gli
altri a dare il massimo, i massimi risultati raggiungibili: il rugby Sandonà
deve a d. Ferruccio gli inizi della sua gloriosa storia.
Ovviamente erano altri tempi,
sembrano lontani anni luce dall'attuale modo di concepire lo sport, ove tutto è spinto all'esasperazione e dove si è persa
la gioia del gioco per trasformare tutto in dramma.
Al Brandolini resta fino al 1963, con la parentesi di un anno in cui fu
tentato un esperimento di presenza dei
Giuseppini al collegio Marconi di Portogruaro (1958-59). Dal 63 al 65 è inviato all'Istituto S. Cuore di Modena e
poi a Montecatini fino al 75. E qui avviene, secondo me, una specie di
graduale "autoriciclaggio": da insegnante di educazione fisica a
insegnante di religione. Nel 75 quando passa all'Istituto d. Costantino di
Mirano è insegnante di religione. Ma anche
qui non fidando dei suoi studi di teologia, del suo essere sacerdote,
sente il bisogno di assumere nuove competenze: per questo frequenta corsi specializzati ai vari livelli, fino a divenire a
sua volta un ricercato esperto in materia. Nel 1987 arriva a Treviso
prima nell'Istituto Turazza, poi, trasferita la comunità religiosa, a Cai di Breda, ma sempre accanto ai formatori del
Turazza. E qui si chiude la sua vicenda terrena, il 19 marzo scorso appunto:
una corsa nello stadio della vita fatta per ottenere una corona incorruttibile,
fatta questa corsa circondato sempre da tanti giovani. I giovani sono stati
la porzione preferita nella sua vocazione giuseppina, la motivazione della sua
vocazione vissuta giorno dopo giorno. I funerali, celebrati nella chiesa di S.
Nicolò a Treviso, gremita di giovani,
formatori e di ex allievi sono stati la testimonianza che questa vita non si
è spesa invano. La sua spoglia mortale riposa ora nel cimitero di Castagnole di
Paese (TV), suo paese natale a cui era rimasto sempre molto legato, nella tomba
riservata ai sacerdoti che hanno prestato il loro servizio in paese.
Mentre
rivolgiamo il nostro arrivederci al nostro caro confratello, parola di Dio
incarnata che ha attraversato la nostra vita, siamo chiamati a chiederci perché
il Signore ce lo ha messo accanto, perché il Signore ci mette gli uni accanto agli
altri; qual è il suo desiderio, per quale
motivo ci manda, l'effetto che dobbiamo raggiungere. Ogni parola di Dio,
ognuno di noi, come dice il profeta, non ritornerà a Dio senza avere ottenuto
l'effetto desiderato, senza avere operato ciò per cui il Signore ci fa
incontrare.
Ognuno di
noi è una parola d'amore pronunciata da Dio e come tale deve vivere e come tale
deve accogliere coloro che intersecano la sua vita.
E così ci mettiamo davanti a questa parola di Dio tornata a Lui, per
riflettere su quali effetti ha prodotto
la sua presenza tra noi.
Personalmente,
ma ognuno di noi cercherà le proprie risposte, ho visto in d. Ferruccio due
grandi momenti della sua missione: l'insegnante di ed. fisica e quindi l'animatore sportivo per eccellenza e l'insegnante
di religione in vari ambienti: istituti tecnici, centri di formazione
professionale, carceri...
Leggiamo nel Vangelo: se uno mi vuol servire, mi segua. In un tempo in
cui il "servizio" è inteso come attuazione dei propri progetti,
delle proprie idee, dei propri personalismi, di tanti sociologismi o
psicologismi, (quante volte ci riempiamo la bocca delle tante cose che noi
sappiamo e diventiamo incomprensibili agli altri!) d. Ferruccio ci indica che innanzi tutto dobbiamo seguire il Signore, non
dimenticarci della nostra relazione d'amore con lui e in questo educare i
nostri giovani. Qui sta il seguire e il servire.
La stessa
pagina di vangelo ci ricorda che l'onore, la gratificazione al nostro operare
dobbiamo attenderla da Dio, perché il nostro operare è un servire il Signore.
Vorrei quindi invitare
ciascuno a continuare nella riflessione sugli effetti che i nostri incontri con
d. Ferruccio hanno provocato e provocano in ciascuno, e lasciate che rompa un
certo delicato riserbo e trascriva alcune righe che aprono un suo quadernetto
di appunti.
"Non
si può arrestare la primavera negli anni, ma si può rimanere giovani fino alla
fine se si mantiene vivo nel cuore l'amore per quanti sono degni d'amore, e se
si tengono gli occhi e l'anima aperti al bello, al grande, al buono, al
vero".
Non credo
ardito concludere quindi con una preghiera a cui cambio solo il nome e che
molti di voi riconosceranno:
O Signore buono e misericordioso, noi ti ringraziamo per la
testimonianza evangelica di d. Ferruccio; ti preghiamo di sostenerci nel
seguire il suo esempio e di aiutarci nelle difficoltà
della vita. Tu che lo hai donato ai giovani come amico, fratello e padre, concedi
a noi la grazia di continuare la sua missione nella Chiesa, con umile carità e
con fiducioso coraggio, perché il mondo ti conosca e creda al tuo amore. Amen.
d. Ferraccio Cavaggionì sup. prov. ven.