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A. Marengo, S. Giuseppe e la Santa Famiglia negli Scritti di San Leonardo Murialdo

da: AA.VV., San Giuseppe: sposo - padre - educatore, Centro Studi san Giuseppe LEM, Roma, 1996



Dentro la spiritualità di San Leonardo

1. Penso che sia anzitutto utile inserire l’argomento dentro le linee essenziali della spiritualità di san Leonardo. Essa, a mio meditato parere, consiste, cioè si fonda, ha la sua base su alcuni pilastri portanti.

La convinzione sperimentata, accettata e interiorizzata dei propri limiti e debolezza personale diventata gradualmente un modo e uno stile di atteggiarsi e comportarsi in verità davanti a Dio e al prossimo; e anche un modo di vedere cose, avvenimenti e persone alla luce di questa verità. Di qui uno stile di modestia, di adattabilità, di disponibilità nelle vicende quotidiane, concrete; e anche nel modo di esercitare il suo ruolo personale sia all’interno dell’Opera Artigianelli che nella sua congregazione religiosa e nei movimenti cattolici diocesani, regionali, nazionali.

La convinzione di fede, diventata progressivamente convinzione anche psicologica, che Dio è amore misericordioso per Sua stessa natura, quale ci fu rivelata in Gesù Cristo, Dio fatto uomo, cioè amore misericordioso reso visibile in un modo di essere e di vivere da uomo. Di qui la ricerca della volontà di Dio come unico bene dell’uomo e perciò la accettazione serena delle disposizioni della Provvidenza, anche nelle avversità; la disponibilità totale ai progetti di Dio, come si rivelano nella realtà dell’esistenza.

La devozione profonda verso l’Eucarestia: oblazione continua che Gesù Cristo fa di in modo totale, gratuito; e la Sua presenza sacra-mentale, nascosta e sempre disponibile, efficace a rendere ogni cristia-no/a davvero figlio/a di Dio a Sua immagine e somiglianza. Tale devo-zione divenne in san Leonardo vera e propria struttura spirituale portante, che si arricchi nel tempo con le accentuazioni tipiche della spiritualità del sacro Cuore: risposta di amore riconoscente. affettivo, e di riparazione: amore effettivo e zelo.

La devozione a Maria, intesa come tramite scelto da Dio sia per l’incarnazione e l’educazione infantile di Gesù Cristo, sia per l’educazione materna di ogni cristiano/a fino a che sia realizzato in essi la vocazione a essere figli/e di Dio incarnati/e: mediazione materna.

In questa luce vanno visti e interpretati tutti gli altri aspetti della vita di san Leonardo e perciò anche quello del culto e della devozione a S. Giuseppe e alla santa famiglia.


Dal "Panegirico di San Giuseppe"

2. Le prime espressioni scritte da san Leonardo su S. Giuseppe si trovano in un manoscritto del 1857, che egli intitolò ‘panegirico di S. Giuseppe’. Meriterebbe di essere riportato integralmente, sia perché quasi irreperibile alla maggior parte dei confratelli – e tanto più degli estranei –, sia perché, come dissi, è il primo documento in ordine di tempo.

Qui devo forzatamente riassumerlo nelle sue linee essenziali.

L’esempio e l’intercessione di santi sono di grande aiuto a chi sta ancora camminando faticosamente verso il paradiso sia perché «i loro splendidi esempi hanno una mirabile forza di attrarre altrui dapprima all’ammirazione e all’amore e indi alla pratica delle virtù stesse», sia per «la valida intercessione che gli uomini virtuosi e santi, già perveuti a godere dell’eterno premio, possono adoperare a favore di quelli che ancora si trovano fra le battaglie e i pericoli della vita».

Tra i santi si distingue sia per le virtù esercitate che per la potenza dell’intercessione san Giuseppe, tanto che «diventare suoi veri divoti» significa avere «una sicura caparra di poter un giorno venire anche noi a partecipare alla sua gloria».

San Leonardo trova quindi il fondamento delle sue affermazioni nei vangeli, e precisamente nelle tre affermazioni: uomo giusto – sposo di Maria – padre di Gesù. Dopo aver detto che gli esempi da imitare in lui «saranno quel distacco dalle cose del mondo e quella vita nascosta, che tanto debbe stare a cuore di chi pure brami giungere un dì alla vita eterna», spiegò il senso delle affermazioni evangeliche; ne riporto le espressioni più significative.

a) «La vera gloria, quella che nasce dalla virtù dell’animo, fu al tutto propria di quel Giuseppe che doveva essere virtuoso e santo così da poter essere non indegno sposo della più santa fra tutte le creature, egli che meritò che lo Spirito Santo per bocca di S. Matteo lo designasse col nome di giusto [Mt 1,19], vale a dire dotato di ogni sorta di virtù

in grado di più eminente...».

b) Egli fu «... virtuoso così da poter essere sollevato all’altissima dignità di sposo della Madre di Dio... Gli sposi debbono avere una somiglianza, e analoghe inclinazioni d’animo... ‘Giuseppe, sposo di Ma-ria ’! [Mt 1,16]: tal parola ci dice che Giuseppe... possedé la parte migliore degli affetti del cuore di Maria, il più puro, il più santo. Ci dice che ei fu il fedele suo consorte, che divise ognora le gioie e i dolori, le speranze e i timori della più eletta fra le figliuole di Eva; che fu il fortunato custode della verginità di questa primogenita tra le figlie di Dio,che fu lo sposo mortale della mistica sposa dello Spirito Santo!; che fu,in una parola: custode – compagno – sposo della Madre di Dio! Dignità e gloria così sublime e sovrumana che, se ne eccettui la maternità di Maria, altra più sublime tu non trovi in terra.

c) Seppure non è sorpassata dal grado di essere custode e padre,come suol dirsi putativo, di Gesù, l’Uomo-Dio: il che forma appunto il secondo titolo della gloria e della grandezza di S. Giuseppe... Giuseppe fu fatto custode di Gesù, del più ricco tesoro che vi abbia non solo sulla terra, ma benanco nel cielo; di quel Gesù che, se vero uomo, è pur anco vero Dio, onde può dirsi che la casa di Giuseppe diventa il tempio di Dio, giacché Dio stesso vi abita sotto spoglie mortali!...E non solo egli riceve l’ufficio di custode a riguardo di Gesù, magli è affidato pur anche l’ufficio e il nome di Padre di Gesù! E a ciò chiaramente intendere, occorre ricordare che quando il Figliuolo di Dio discese qui in terra, ei nacque per miracolosa opera dello Spirito Santo da una madre vergine, e non ebbe padre terreno. Egli aveva bensì un Padre celeste, ma questo Eterno Padre pare quasi dimenticare e abbandonare questo suo Figlio, che veniva a patire per gli uomini. Affinché sovrano fosse il suo soffrire, ei quasi lo abbandonò, come se più non lo riconoscesse per figlio, lasciandolo dal suo primo nascere al suo morire in croce in preda alla miseria e al dolore. In tale suo ab-bandono però lo stesso Celeste Padre lo offre ad un uomo mortale, on-de abbia cura della sua infanzia e compia verso di lui le veci di padre.E l’uomo prescelto ad una tanta opera è Giuseppe. Da quel punto egli non vive più che per Gesù, non ha più cura che di lui; egli assume per lui cuore e viscere di padre, e diviene per affezione ciò che non è per natura. Egli è infatti che dà il nome a Gesù; è egli che viene in sogno avvisato dagli angeli delle minacce che sovrastano Gesù; è egli che lo pone in salvo in Egitto e indi lo riconduce nella Galilea; è egli che lo provvede nella sua infanzia del sostentamento: egli in una parola che compie verso il Salvatore del mondo il ministero di padre». Altra volta scrisse sinteticamente: «Degno sposo di Maria quando sposò; degno padre di Gesù».

E continuò: «Tutti gli uomini della terra invocano Dio col nome di Padre, e il Figlio di Dio chiama Giuseppe con questo stesso nome. Oh, quali soavi agetti non doveano suscitarsi nel cuore di Giuseppe allorché egli sentiva chiamarsi con tal nome da quegli che egli venerava come Dio! Qual contento per lui il vederlo tutto dì a sè attorno, l’abitare sotto lo stesso tetto, l’assidersi alla stessa mensa! Con quanto affetto non avrà egli indirizzato a Gesù il caro nome di figliuolo! Con quale riconoscenza avrà egli talora meditato sulla altezza della gloria, a cui era stato dal suo Dio elevato! Vivere insieme con l’Uomo-Dio; essere famigliare dell’Uomo-Dio!...».

Dopo aver accennato alla sua morte «fra le braccia di Gesù e Maria», e al tema classico del paragone tra Giuseppe, figlio di Giacobbe e san Giuseppe, san Leonardo illustrò la potenza della sua intercessione.

«Oh, qual seggio glorioso non sarà dunque nella casa dei santi quello dell’inclito sposo della regina del cielo, quello del custode e pa-dre del re del cielo 7 Quale adunque non sarà eziandio la efficacia del-la sua intercessione? A farvene formare un adeguato concetto io non ho che a qui recarvi il testimonio di quella serafina di amore che è san-ta Teresa». E qui citò una lunga pagina presa dall’autobiografia della Santa, dove ella afferma che: «Dacché io scelsi a mio patrono e protettore il glorioso S. Giuseppe, io ebbi da lui una assistenza così grande e così pronta, tale che mai non avrei osato domandargliela. Io non mi ricordo di avere giammai a Lui domandato alcuna grazia che io non l’abbia ottenuta, e non posso pensare senza meravigliarmi a tutte le grazie che Dio mi ha fatto per sua intercessione, ai pericoli da cui egli mi ha liberata così per l’anima come per il corpo. Egli pare che Dio accordi ad altri santi la grazia di soccorrerci in qualche particolare bi-sogno, ma io so per esperienza che san Giuseppe ci soccorre in tutti quanti, come se il Signore volesse dare a vedere che, nella stessa guisa in cui era a lui soggetto in terra perché gli tenea luogo di padre e ne portava il nome, così ora non possa a lui negare niente nel cielo. Altre persone, a cui io consigliai di ricorrere alla sua intercessione, hanno provato la cosa istessa, e io riconosco ogni giorno più la verità di quanto dico...

Io non mi ricordo di avere mai da molti anni implorato da lui una qualche grazia nel giorno della sua festa che io non l’abbia ottenuta.

L’esperienza che io ho delle grazie che Dio concede a richiesta di questo Santo mi fa desiderare di poter indurre ognuno ad avere una divozione grande per lui, mentre io non conosco alcuno che abbia per lui avuto una vera divozione e che non siasi avanzato nella virtù. Io prego tutti coloro che non vorranno credere alle mie parole di voler fare essi stessi la esperienza, ed essi proveranno certamente quanto è utile e vantaggioso il ricorrere a questo grande Patriarca con una divozione particolare».

A conclusione del suo panegirico, san Leonardo, secondo il suo stile di uomo concreto, propose: «Ripetete sovente, di cuore, ogni giorno quella bella orazione: – Gesù, Giuseppe, Maria vi dono il cuore e l’anima mia. Gesù, Giuseppe, Maria assistetemi nell’ora della mia agonia –. Lo farete voi? Quali fra voi? Chi no? Ciascuno risponda a sè: lo farò? Piace a Dio; perché non farlo? Bisogna cominciare subi-to, stasera, e farsi uno scrupolo la prima volta che si lascia; fissare il tempo. Sembran minuzie, ma è necessario.

Associate il suo nome a quello di Gesù e di Maria quando dite quell’altra orazione giaculatoria: – Lodato sempre sia il nome di Gesù, di Giuseppe e di Maria. Chiedete anche voi, ma chiedetegli di cuore la grazia di poter divenire e mantenervi sempre sue vere divote. Se tali voi sarete, vivrete una santa vita, morirete di una santa morte, giungerete a godere con lui una beata eternità».


Da una esortazione agli affigliati della Confraternita di S. Giuseppe

3. Tra il centinaio di pagine dei manoscritti autografi di san Leonardo che parlano di S. Giuseppe voglio riportare integralmente questa, che porta la data del 1877. Sono gli appunti per una esortazione agli affigliati della Confraternita di S. Giuseppe, da lui stesso iniziata nell’ambiente del Collegio Artigianelli di Torino, e che fu inizio e semenzaio della congregazione religiosa da lui fondata.

«Nella vita di S.a Margherita da Cortona (si legge che Gesù Cri-sto le apparve e disse: – Se vuoi farmi cosa grata, sii devota e onora ogni giorno il mio padre putativo S. Giuseppe –.

In questo mese di marzo e durante la novena cercheremo di animarci alla divozione. In che consiste la divozione? 1º – nella stima; 2º – nella confidenza, dalla quale nascono: a) amore nel cuore; b) pratica, imitazione.

La ven. Maria Catterina di S. Agostino [1632-1668, suora ospedaliera] nel giorno dell’Ascensione vide in estasi l’ingresso di Gesù Cristo in cielo. S. Giuseppe era alla testa dei santi dell’Antica Legge. Gesù lo presentò al Padre Eterno e promise che continuerebbe a far la volontà del padre putativo.

Qual è la nostra divozione? La stima? La confidenza? L’Amore? L’imitazione. Facciamo la Comunione al mercoledì? Giaculatorie? Nelle necessità ricorriamo a lui? Abitualmente? Portiamo la meda-glia? Diciamo la preghiera: Ave Joseph?... Mettiamoci nella novena... ».

Altra volta scrisse: «Dopo la divozione a Gesù Cristo ed a Maria, quella a S. Giuseppe è la più eccellente, la più utile, la più necessaria».


La vita a Beltlemme

4. Tra i vari aspetti della devozione a S. Giuseppe ebbe particolare accentuazione in san Leonardo quello della vita trascorsa a Betlemme, e poi in Egitto e a Nazareth. Gli appunti svelano chiaramente gli elementi fondamentali della sua stessa spiritualità. Egli meditava, o meglio contemplava la vita infantile di Gesù, e perciò di Maria SS.ma e S. Giuseppe, anzitutto come scuola di «tutte quelle virtù che furono proprie e caratteristiche della sua santa infanzia: la umiltà, la dolcezza, la semplicità; virtù che sono base di quell’edificio spirituale che è come il preludio e l’aurora della vita eterna».

Nel fatto dell’incarnazione del Figlio di Dio, egli vedeva anzitutto la prova dell’amore di Dio per noi: «badiamo, o fratelli, che questa è verità di fede, e chi avvertitamente dubitasse di questo amore di Dio per noi sarebbe non pure un ingrato, ma cesserebbe persino di essere cattolico... Dio ci ama di tutta l’essenza e del medesimo amore che uni-sce insieme le tre divine Persone, perché, non essendovi in Dio che una sola essenza, non vi ha pur anche che un solo amore; quindi lo stesso amore di cui Egli ama se stesso è pure l’amore di che ama le sue crea-ture...».

Contemplava poi le lezioni di umiltà, che furono anche oggetto dell’ammirazione di Maria e Giuseppe. Stralcio le espressioni più significative:

«La prima cattedra, da cui il maestro divino bandì la sua celeste dottrina a salute degli uomini, fu il presepio... ora, primo fondamento e parte essenziale della dottrina di G.C. è l’umiltà; adunque volea essere precipuamente inculcata dall’eloquente linguaggio degli esempi di un Dio bambino... Il paradiso è il regno degli umili: esso è quella patria beata, in cui debbe essere esaltato chi si sarà nell’esilio umiliato. Ep-però è la sola umiltà virtù del tutto necessaria, dacché essa sola ci apre quelle porte eternali; è in qualche modo di assoluta necessità a poter avere salute... G.C. stesso di propria bocca ci dice che se non ci faremo piccoli come pargoli non potremo entrare nel regno dei cieli: – nisi efficiamini sicut parvuli, non intrabitis in regnum coelorum – (Mt 18,3).

E questa virtù è così nobile che, sola fra tutte, è la virtù di Dio..., imperocché in Dio esser buono, santo, misericordioso non è virtù, ma natura; in lui è solamente virtù l’essere umile. Dio non può esaltarsi più di quello che egli è nel suo essere altissimo, ma può bene umiliarsi e impicciolirsi, come di fatto egli fece nella sua incarnazione: “humiliavit semetispum... exinanivit semetipsum” (Fil 2,8.7).

Virtù a noi la più vantaggiosa perché essa è che designa il trono nostro nei cieli, designa il grado di gloria. di letizia, di amor divino che ci farà beati per tutta l’eternità».

San Leonardo nei giorni seguenti della novena insistette sulla fidu-cia che dobbiamo avere in Dio Amore Incarnato:

«Ed eccolo questo vago bambino, stretto fra le fasce, che non sembra poter nulla senza l’aiuto della madre: un bambino che non ha che grazie e dolcezze; un bambino povero, indigente di tutto, che ci intenerisce con le sue lacrime e i suoi vagiti, che muoverebbe a pietà il cuore di un barbaro... “Che temi tu, o uomo7 – esclama S. Bernardo. – Perché tremi al cospetto del Signore che viene? Egli non viene a perderti, ma a salvarti”. Sì, a salvarci: e Salvatore sarà appunto il nome che egli fra pochi dì vorrà assumere... Egli si proclamerà nostro fratello... Assumendo questa nostra natura..., volendo che scorresse nelle sue vene il nostro sangue; cosicché di Gesù possiamo dire: “frater et caro nostra est” (Gen 37,27) – egli è nostro fratello e nostro sangue. E di questo nome volea poi un giorno designarci egli stesso: “Ite, nuntia-te fratribus meis” (Mt 28.10). E S. Paolo scriveva più tardi che Gesù era il primogenito tra molti fratelli: “primogenitus in multis fratribus” (Rom 8,29). E fratello a tutta ragione possiamo gloriarci che egli sia a noi quando pensiamo che egli ci fece figli del suo celeste Padre: “dedit eis potestatem filios Dei fieri” (Gv 1.12); ci diè la stessa sua madre» (cf. Gv 19,26-27).


Gesù fanciullo ed adolescente

5. La fuga in Egitto, la permanenza là, e poi tutta la vita nascosta a Nazareth costituiscono un vero ‘mistero’ per la nostra intelligenza e sensibilità; anzi un controsenso. Fin nel 1852 san Leonardo preparò un discorso sulla confidenza in Dio per l’Accademia di sacra eloquenza. In esso, dopo aver parlato della nascita a Betlemme egli scrisse:

«Artigiano: non è un povero artigianello, il figlio di un legnaiuolo che debba incutere timore, o togliere alcunché di fiducia nel ricorrere a lui... Il Figliuol di Dio si è ridotto alla condizione di un povero artigianello, e non appare che figlio di un legnaiuolo! Sarà egli per recare nel mondo il timore e la diffidenza? Vedete, oh vedete le industrie di Gesù per dare a noi dimestichezza amore...».

San Leonardo tornò più volte a contemplare questo ‘mistero’. Nell’anno trascorso a Parigi, all’inizio del 1866 il sig. Icard tenne il ritiro mensile sul tema: «Gesù a Nazareth: vita nascosta», e il ‘seminarista’ San Leonardo si appuntò in francese, le espressioni di cui darò una mia traduzione:

«Così nascosto che quando predica anche i suoi conoscenti diran-no: “Ma come, lui che non ha imparato a leggere?”. Perché?

1º – per consolazione della maggior parte degli uomini, dei quali sono pochi quelli che fan rumore nel mondo...».

Dal can. Galletti nel 1864, durante gli esercizi spirituali da lui dettati a S. Ignazio di Lanzo, san Leonardo si appuntò: «Adesione pratica a Gesù: tutta la vita. Tener sempre fisso lo sguardo in Gesù e guardare se stessi...; che cosa fece, e che cosa vuole o brama...

Ci consacrammo a Gesù, vogliam vivere la vita di Gesù. Vediamo in prima la sua vita privata in Betlemme, in Nazareth».

Dopo aver accennato a Betlemme il can. Galletti continuò:

«I. – ‘Erat subditus illis ’ (Lc 2,51): ci insegna:

1º – A fare la volontà dell’eterno Padre;

2" – ad avere ubbidienza ai superiori, al confessore, anzi, – come insegna Olier – a tutti i cristiani: considerare ogni anima come regina del sacerdote, che è servo generale di tutta la Chiesa e particolare di quelle a cui è addetto.

3º – Ritiro...

4º – Lavoro. Gesù, avendo la scienza infusa, si diè a un lavoro vi-le, perché lo stimassimo...

5º – Preghiera... dire Rosari, Angelus, Via crucis, e pratiche che nutrano (!) la divozione. Prima del lavoro, pregare.

Il. – ‘Et proficiebat... ’ (Lc 2,52). Manifestiamo anche noi ‘coram hominibus’, ma più ‘coram Deo’».

Nel 1871, durante un corso di esercizi predicati a Bra dal suo ex-ripetitore universitario teol. Agostino Berteu, si appuntò:

«I. Vita nascosta. Gesù doveva farsi conoscere come Dio; doveva darci esempio = Betlemme e Nazareth... Ritorna a Nazaret, d’onde nulla può uscir di buono (Gv 1,46). Un mestiere, falegname; umile e ri-tirato in casa. Nascosto per 30 anni: non prediche, non miracoli. Ep-pure pare che avrebbe fatto tanto bene, tante conversioni... Altre le vie del Signore (Is 55,8-9)...

Vita ‘abscondita in Deo ’ (Col 3,3): Dio, Dio, in tutto Dio: “Gesù” rimira Dio, parla di Dio, opera per Dio, sospira a Dio: slanci d’amore, soffre per Dio... ».

Da mons. Gastaldi si appuntò nel 1875: «In Nazaret santifica le arti umili; non le cattedre dei filosofi, nè imprese di capitani, ecc., ma falegaame,corse lavò le scodelle. A Milano i Barnabiti conservano in un armadio la conca di pietra ove S.Carlo, facendo gli esercizi spirituali, lavava le scodelle.

Conclusioni pratiche: umiliazioni: non bramar qualche lode, che toglie il poco merito; ma aspettarsi umiliazioni, aspettarci patimenti: non ascoltar la carne e il sangue; anche in opere non obbligatorie.
Guardare nei superiori la dignità, non la sapienza ecc. Chi più sapiente: Maria o Gesù come uomo? Eppure...».

Quando poi san Leonardo volle parlare ai suoi confratelli della vi-ta nascosta di Gesù Maria e Giuseppe a Nazaret scrisse:

«Gesù venga nella nostra mente, cuore, si manifesti nelle opere... Servire Dio imitando Gesù, epperò studiarlo; ‘meditari’? Gesù modello».

«In Egitto: nessun miracolo, come a Betlemme. Giuseppe probabilmente era garzone d’un ebreo, o idolatra; incerti del quanto tempo... Per il ritorno, che durava circa un mese, forse dovettero elemosinare per le spese del viaggio. G.C. andando era bambino, in braccio, ma tornando forse aveva 5 o 7 anni – non si sa di certo, tutto oscuro –: o a piedi o di maggior aggravio ai parenti; o se avevano un giumento, spesa per cui ebbero a questuare. (Gesù cresceva magrolino)...

A Nazaret, fino a 28 anni: “effectus sicut parvulus” [cf Is 9,6]... “Subditus”... Gesù certo non si faceva maestro a Giuseppe; imparava esso; ubbidiva: andava alla sinagoga e ascoltava, andava a funzioni in Gerusalemme benché non ancora obbligato come non adulto.

Frutto:

1º – Noi ‘parvuli coram Deo ’: umili, conoscendo nostro nulla; di-pendenti da Dio in tutto.

2º – ‘Parvuli coram hominibus’: dipendenti dai superiori, e nulla curanti di comparire qualche cosa ‘coram eis’».

Si legge in un altro appunto: «In Nazareth. 1º – Vita di ritiro e na-scosta agli occhi del mondo... Nascondimento: nessuna figura; vita oscura, nascosta...

2º – vita di ubbidienza: “erat subditus”. Chi? L’uomo-Dio. A chi? A sue creature. In che? In tutto che non peccato. Ubbidienza dei religiosi... ; ad omnia... ».


Espressioni riguadanti san Giuseppe

6. Non si deve pensare che sia andato fuori del seminato fermandomi tanto sulla vita di Gesù infante, fanciullo e adolescente: queste furono le meditazioni – contemplazioni fondamentali di S. Giuseppe, quelle su cui egli modellò se stesso, e quindi sono da imparare e intercedere da lui. D’altra parte questo furono pure molta parte della meditazione – contemplazione di san Leonardo (i suoi appunti su tali temi occupano un centinaio di pagine!).

Meno importanti si possono considerare – nella linea della spiritualità – le espressioni, che pur si trovano numerose nei suoi manoscritti.

Sulla grandezza di S. Giuseppe, d’altronde già qui illustrata sulla base del vangelo e dell’autorità della Chiesa.

Sulla sua morte preziosa, che lo abilita a protettore di ogni buona morte.

Il paragone con Giuseppe figlio di Giacobbe.

La sua gloria celeste (spesso san Leonardo ricordò l’episodio del pittore che aveva presentato il bozzetto di un quadro della Immacolata Concezione al papa Pio IX. Quegli aveva messo san Giuseppe «In un angolo, su un gruppo di nuvole», ma il papa gli disse: «No; qui vicino a Gesù. Questo è il suo posto in cielo».

La potenza della sua intercessione. Qui riporto solo alcune espressioni significative: « Come a Maria, Gesù non dice mai di no a S. Giuseppe, perché anch’essi non dissero mai di no. Solo per Maria e S. Giuseppe la Chiesa celebra la festa del patrocinio. Maria avvocata patrocinante prima; Giuseppe avvocato patrocinante secon-do. S. Giuseppe presso al trono di Gesù è potente, onnipotente. A lui mai di no». Altrove si legge: «Oh, se potessi farvi tutti divoti di S. Giuseppe! Tutti in paradiso. S. Giuseppe come Maria è onnipotente; Gesù non dice mai di no». Ricordò pure alcune volte che una suora orsolina Maria Giovanna «si era scritto il nome di S. Giuseppe sulla mano e, quando il demonio la tentava, mostrava la mano, e il demonio andava in fuga». Altre volte scrisse: «Il cuore di Gesù è la fonte delle grazie, i nostri cuori sono i vasi in cui esse si riversano, le preghiere di Maria e di Giuseppe con i due canali».

Altri aspetti della sua particolare protezione: per gli esercizi spiri-tuali (innumerevoli volte suggerisce all’inizio dei vari corsi la giacula-toria: S. Giuseppe, amico del sacro Cuore, prega per noi); per la casti-tà; per le difficoltà materiali (qui si parla soprattutto della grave situa-zione finanziaria del Collegio Artigianelli); per la vita interiore; per la perseveranza finale; per le vocazioni alla vita consacrata; per la Chiesa universale.


La protezione di S. Giuseppe per i lavoratori

7. Particolare rilievo ha nei manoscritti di san Leonardo, com’è ovvio, la protezione di S. Giuseppe per i lavoratori, per gli affigliati della confraternita di S. Giuseppe da lui istituita nel Collegio Artigianelli, per la sua congregazione religiosa, intitolata a S. Giuseppe.

7.1. Sull’esempio e l’intercessione particolare di S. Giuseppe per i lavoratori san Leonardo scrisse numerose pagine di appunti; alcuni suddivisi per i giorni della novena in preparazione alla sua festa del 19 marzo. Ai giovani frequentanti l’oratorio di S. Martino lo presentò come “amico amante e amato, modello e protettore”; ai giovani artigianelli confidò che il detto scritturistico: ‘Qui elucidant me, vitam aeternam habebunt’ [Sir 24,31]» mi ritorna gradito e confortante ogni qualvolta si presenta l’occasione di lodare S. Giuseppe: cosa lieta per me per il premio che spero in morte, e lieta riguardo a tutti voi, cari giovani, poiché quanto spero! Non è gran tempo che, parlando con persone che si interessano per voi, parlando di cattivi si conchiudeva: – Verrà la novena di S. Giuseppe e aggiusterà tutto».

Il primo schema di novena, che riporta la data del 1880, venne così impostato:

1º giorno: l’introduzione, cui abbiamo accennato; 2º: «Giuseppe lavorò, amò il lavoro», sottolineando che il suo fu lavoro «principalmente di mano, meccanico»; 3º giorno: «Giuseppe elesse [accettò volontariamente?] lo stato sociale e l’arte cui era chiamato da Dio..., fu legnaiuolo: non scienza, non arti belle; ‘vocatus a Deo’ [chiamato da Dio] a ciò, da tutta l’eternità... E quindi lieto in questo mondo, caro a Dio e agli uomini...»; 4º giorno: «Giuseppe lavorava bene..., con giustizia, senza frodi, non con furbizia..., con assiduità, con attività... Come Gesù davanti agli occhi, ad maiorem Dei gloriam [alla maggior gloria di Dio]; come dice il titolo del libro del p. Faber: Tutto per Gesù. ‘Qui laborat, orat’ [chi lavora, prega]. La sua vita fu un’orazione e contemplazione continua; le sue azioni esteriori mai interruppero il raccoglimento e l’attenzione alla presenza di Dio...». Applicando poi l’esempio alla vita concreta dei suoi giovani artigianelli aggiunse: «Quelle brevi orazioni, che dite in laboratorio, se si dicon male si pecca, se invece bene tutto si indora: preservano dal peccare, dall’essere puniti, santificano tutto».

Il quinto giorno san Leonardo propose «S. Giuseppe modello e protettore della castità», affermando: «se non avesse altro titolo, basterebbe questo per farci suoi divoti... Vi sono dei ragazzi che confonono il peccato mortale con questo peccato: è un errore, ma ha un lato vero: esso suol essere l’origine degli altri; più che gli altri dà la morte alle anime e ai corpi... Certo che questo è l’indizio più sicuro di dannazione». Nella vigilia della festa rivolse una calda esortazione alla conversione, cioè a «fare una sincera e fervida confessione, a fissarci un tenore di vita cristiana, che ci farà godere la pace dei figlioli di Dio». Perciò domandò: «Crediamo noi al dogma dell’efficacia delle devozione ai santi 7 Che essi ascoltano le nostre preghiere, che pregano per noi quel Dio di cui sono amici 7 E se crediamo questo dogma della nostra fede, dobbiamo o no confidare in S. Giuseppe? Gesù Cristo esaudisce i suoi servi, non esaudirà il suo padre putativo, che è il primo dei santi del cielo? Non lo esaudirà? Ovvero, S. Giuseppe non esaudirà noi che gli domandiamo grazie spirituali, utili a noi, gloriose al suo Gesù; cioè la conversione sincera e totale del cuore 7 Dovrà es-sere questa la prima volta che non si avveri la promessa di S.a Teresa?... Può, S. Giuseppe Vuole?...».

Ecco un’altra «traccia per novena». la trascrivo: «1º – lavorò, non ozioso; 2º – lavorò nel lavoro voluto da Dio; 3º – lavorò in un lavoro umile; 4º – lavorò bene nel modo esterno: indefesso, attivo; 5º – lavorò secondo coscienza; leale; 6º – lavorò con purità di intenzione; 7º – la-vorò con unione a Gesù Cristo. Quanti sono divenuti miserabili perché non avevano amore al lavoro!», e continuò: «il lavoro è un dovere, non solo una necessità. Dio comanda ad Adamo: – In sudore vultus tui vesceris pane – [Gen 3,19: con sudore del tuo volto mangerai il pane]; anzi lo creò innocente ‘ut operaretur’ [Gen 2.15: perché lo coltivasse]. Il lavoro è un dovere – una necessità – un castigo – un merito... ». Svi-luppò poi nel quarto giorno questa stessa idea. «Tutti, tutti devono lavo-rare, in qualsiasi condizione sociale e in qualsiasi professione... Tutti non devono stare in ozio; tutti devono fare penitenza; tutti farsi meriti lavorando per il Padre di famiglia, il padrone della vigna... Ma non tutti nello stesso lavoro... Come andrebbe la società se tutti fossero calzolai, od operai; se tutti avvocati, tutti medici? Purché si lavori o si studii, non si ozii...» E continuò a spiegare: «In quale stato sociale? Quello che Dio vuole. Dio dà un destino a tutti, lasciando talora libertà di scelta del lavoro. Ma quale la condizione sociale da preferirsi? Se è lasciata la scelta a noi, quale lavoro preferire. Quello che più facil-mente ci conduce al fine ultimo, il paradiso... In qualsiasi condizione sociale, in qualsiasi professione uno può essere felice in questo mondo e beato nell’altro, a condizione che: 1º – scelga quello che Dio vuole; 2º – vi adempia i doveri: lavorando – nel modo che Dio vuole – col fine che Dio vuole».

Nel sesto giorno ribadì le medesime idee presentando S. Giuseppe come modello concreto: «lavorava: non vizioso perché non ozioso; lavorava nella condizione sociale e nello stato, nel mestiere umile in cui Dio l’aveva collocato... Nel mondo che cosa si esamina? Chi paga di più; non se il padrone è buono, non se sono buoni i compagni. E voi? Quale mestiere scegliere ora? Qual laboratorio? È una cosa importante, per la quale occorre: pregare Dio – esaminare – chieder consiglio... Non scegliere per capriccio, perché si fu sgridati, puniti; non per leggerezza..., ma esaminando le forze fisiche, l’inclinazione, l’ingegno, la parentela...».

Nel settimo giorno sviluppò il tema della vita interiore di S. Giuseppe, modello per ogni lavoratore. Scrisse: «Che cosa era la vita interiore in S. Giuseppe, nei santi; che cosa è in noi? 1º. Star raccolto, non dissipato, guardare con l’occhio della mente e ascoltare sempre la voce interiore dello Spirito Santo, e intanto guardare il cuore, se agisce in conformità..., non per passione.

2º – Andar dietro fedelmente alla grazia, alla voce dello Spirito santo come G.C.: ‘ductus a Spiritu’ [Mt 4,1: condotto dallo Spirito].

3º – Sempre alla presenza di Dio nel cuore, in unione a G.C.: Dio mi vede, mi guarda.

4º – Purità di intenzione: ad maiorem Dei gloriam... Così sì ‘qui laborat, orat’; in altro senso: ‘qui laborat, peccat’... S. Giusep-pe nella bottega di Nazareth piallava, segava esteriormente. ma interiormente raccolto guardava Dio – seguiva le ispirazioni – aveva Dio presente nel cuore; aveva nell’intenzione la volontà di Dio, la gloria di Dio; quindi: parlava a Dio – agiva per Dio – agiva bene, come voleva Dio; soffriva perché Dio voleva. Da Dio partiva ogni pensiero, prece, opera; a Dio tutto quanto...».

A rifletterci un poco, non può non meravigliare questo profondo insegnamento rivolto da san Leonardo a giovani artigianelli, che provenivano da famiglie disastrate, e non avevano ricevuto una ricca sensibilità ai temi spirituali... Eppure egli lo faceva...; non può valere anche oggi per tutti noi? e per il nostro ministero educativo?

7.2. Nella festa del patrocinio di S. Giuseppe il giorno 8 maggio 1881, scrisse per un fervorino agli affigliati della confraternita di S. Giuseppe: «Nell’atto di consacrazione chiamiamo S. Giuseppe: protettore e padre. Formiamo una famiglia quaggiù, per formarla poi lassù, giacché in cielo noi ci riconosciamo. Ma in questa famiglia non ci sia nessun figliol prodigo, che abbia ad essere lontano dalla casa, dalla famiglia di lassù, poiché... non basta essere nella confraternita per salvarsi. Qual orrore! Un congreganista dannato veder tutti gli altri salvi, e i salvi vedere uno dannato!!... Diciamo a S. Giuseppe. – Monstra te esse patrem – [mostra che sei padre]. “Sub tuum praesidium...».

Si appuntò subito dopo: «I cingoli [che usavano gli affigliati e aggregati alla confraternita suddetta]:

Iº – non sono inutili: sarebbe bestemmia che la chiesa autorizzasse una inutilità; e poi si leggono le benedizioni; 2º – ma non so-no un talismano, che assicuri; ci vuole cooperazione, preghiera, fuga delle occasioni; i sacramenti sono indispensabili...».

Forse ai medesimi giovani affigliati della confraternita o ai con-fratelli spiegò un’altra volta perché S. Giuseppe fosse stato scelto co-me patrono: «P – perché falegname; 2º – perché il più grande dei santi: sposo di Maria, padre putativo di Gesù con autorità di co-mandare; 3º – per la sua potenza: G.C. non gli dice mai di no; la Chiesa lo proclamò patrono, dietro domanda dei vescovi, per le persecuzioni che subisce in Prussia, in Russia; 4º – è il direttore spirituale di chi manca di direttore». E consigliò: «Imitarne le virtù, specialmente l’umiltà, così della congregazione come di se stessi».

7.3. Per parlarne ai confratelli si appuntò il 7 maggio 1875: «Perché l’umiltà e la prima caratteristica della congregazione?

1º – Motivo generale. S. Agostino afferma: tanta santità quanta umiltà;

2º – È condizione di vita e di progresso per una congregazione religiosa.

3º – La nostra è propria di S. Giuseppe: deve ricopiarlo, esprimerlo. Ora che è S. Giuseppe? S. Giuseppe è un personaggio semplice, tranquillo, silenzioso, sovratutto oscuro. Mai una parola di lui nel Vangelo; Maria, umile, gli presta la voce: ‘Ego et pater tuus... ’ [Lc 2,48: Tuo padre ed io ]. Sparisce dalla terra senza che si sappia come e quando; vi si dice che era falegname, poi non se ne parla più; non solo non miracoli. Anziché un personaggio è un’ombra che oscura, un’ombra nel gran quadro che è l’economia del mistero del-la incarnazione. La sua missione è di nascondere e oscurare.

In questo gran quadro vi sono quattro personaggi: Dio Padre, Gesù Cristo, lo Spirito Santo, Maria vergine: tanto splendenti. Quanti miracoli fanno in questo gran mistero! S. Giuseppe è come l’ombra del quadro, ma invece che far risaltare le figure come le ombre nei quadri materiali, qui è necessaria un’ombra che temperi lo splendore di questi quattro personaggi. E S. Giuseppe da solo ha una vertu d’obscuritè si étendue [Un potere di oscurare così forte] che basta per velarle, coprirle tutte sino a che piaccia a Dio di manifestarle al mondo. La Vergine è nascosta alla sua ombra: la sua verginità e maternità sono coperte dal velo del suo matrimonio con Giuseppe. Lo Spirito Santo ugualmente: – quod natum est, de Spiritu Sancto est [Mt 1,20: quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo], è il suo capolavoro, è la sua gloria, ma Giuseppe ne spegne i raggi. L’Uomo-Dio è nascosto in questa oscurità, tanto da passare per ‘filius fabri’ [Mt 13.55: figlio del carpentiere]. Dio Padre non apparisce padre di Gesù Cristo finché è obbligato a proclamare. ‘Hic est Filius meus, in quo mihi complacui’ [Mt 3,17: Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto].

Gli apostoli, i santi, i martiri ebbero la missione di glorificare Gesù Cristo, Giuseppe di nascondere G.C. fino all’ora della sua manifestazione... Ma siccome oscurare la gloria divina è maggior mira-colo che manifestarla, perciò la onnipotenza e la sapienza di Dio non si manifestò meno grande in S. Giuseppe che in tutti gli altri santi, e questo santo si deve riguardare come quelle auguste tenebre di cui parla la Scrittura, sotto cui la maestà di Dio si volle nascondere: ‘posuit tenebras latibulum tuuum’ [Sal 18,12: Si avvolgeva di tenebre come di velo]. Compito oscuro, ma sublime... ».

E san Leonardo, pratico e concreto com’era, concluse: «Così la nostra congregazione deve tendere ad essere umile e bassa dinanzi agli uomini, per essere grande a quelli di Dio. Come individui... perché nella Bibbia si legge che... si salveranno solo gli umili di spirito; come congregazione... nel far poco e non figurare. Dobbiamo far molto, ma non ‘ut videamur ab hominibus’ [cf Mt 23,5: per essere ammirati dagli uomini]».

7.4 Il 10 gennaio 1877 scrisse: «Per ogni paese il suo santo è il più grande del cielo: a Padova S. Antonio, a Napoli S. Gennaro, a Milano S. Ambrogio... Veramente ogni santo in cielo è onnipossente sul cuore di Dio... Epperò l’intercessione dei santi è senz’altro efficacissima; occorre solo che essi siano invocati con fervore, con fiducia. E siccome naturalmente ogni paese ha più divozione per i santi nativi o assunti come protettori del luogo stesso, perciò è così efficace la loro intercessione.

Or dunque, perché scegliere noi S. Giuseppe? Perché:

1º Se è vero che ogni santo è validissimo protettore, tuttavia evidentemente più pronta e più abbondante è la copia dei beni che vengono ottenuti da Dio da un beato che più è vicino al trono di Dio: S. Giuseppe, senza fallo, è uno dei santi più esaltati, glorificati,e da Dio amati in cielo.

2º Nella condizione nostra, cinque sono i titoli che ci persuadono a scegliere per patrono S. Giuseppe a preferenza di qualsiasi altro santo.

a) In queste nostre case, la maggior parte dei giovani sono operai. S. Giuseppe fu l’artigiano più santo, dopo Gesù Cristo evidentemente; dunque doveva essere prescelto a protettore di artigiani, tanto più che egli, benché prosapia di re, scelse di essere artigiano a preferenza di altra condizione sociale.

b) Chi in questa casa non è artigiano, cioè i maestri e gli studenti [gli educatori e gli aspiranti alla vita religiosa] debbono in special maniera attendere alla vita interiore, all’unione interna con G.C. E anche gli artigiani debbono, per giungere alla perfezione, applicarsi quanto possono alla vita interiore: presenza di Dio, purità di intenzione, unione di affetti con G.C., attuale amor di Dio: un occhio al cuore un altro a Dio. Ora a ciò occorre avere un modello da imitare e un protettore, che ottenga i doni dello Spirito Santo a ciò necessari. Ed ecco una seconda ragione per onorare ed essere devoti del gran padre putativo di Gesù. Ricordate le invocazioni nelle litanie di S. Giuseppe: modello di vita interiore, nascosta, di unione con Dio.

c) Una grazia delle più necessarie alla gioventù è quella di conoscere la propria vocazione: non solo a qual professione Dio chiami un giovane, ma specialmente conoscere se Dio, per grande ventura, non chiami alcuni alla sublime dignità del sacerdozio ed alla avventurata sorte di essere da Dio prescelti e chiamati ad essere porzione dell’eredità di Dio in qualche Ordine o congregazione religiosa; od almeno servire di tutto cuore il Signore anche nel secolo ma in celibato ispirato dalla grazia di Dio e scelto per poter essere tutto ed unicamente di Dio. Ora il protettore e il maestro della vocazione è il glorioso nostro S. Giuseppe, il quale ebbe la missione di dirigere i primi passi di Gesù.

d) La quarta ragione è per il privilegio che ebbe di spirare la benedetta anima sua nelle mani di Gesù e di Maria, e perciò diventò il protettore della buona morte...

e) Per il nostro collegio: siamo poveri, viviamo alla Provvidenza. Occorrono 70/80 mila franchi all’anno; ne abbiamo 6.000, e quel po’ dei laboratori. Ebbene. S. Giuseppe fu la provvidenza di Gesù e di Maria; lo è tuttora per tutti i poveri. È provato che chi ricorre a lui stenterà, ma fa fronte agli impegni necessari; Dio modera le domande dei creditori. Questa statuetta... [Di essa parlò il can. Antoniotti in una sua testimonianza giurata. Eccola. “Io vidi che egli teneva una piccola statuetta del Santo in una coppa, destinata a custodire il denaro. Interrogato del perché lo facesse, sorridendo mi disse: – Tengo questa statuetta qui perché S. Giuseppe veda quando la coppa è vuota, e provveda.

Conclusione: il curato d’Ars aveva ‘la piccola santa’ S.a Filomena; in lei confidava per tutto, a lei attribuiva tutto. Noi abbiamo il gran santo Giuseppe, il padre di Gesù, il rappresentante dell’eterno Padre, lo sposo di Maria».

7.5 In altra data, che non conosciamo, si appuntò ancora: «S. Giuseppe ci guarda come figli; ci assiste in tutte le azioni, le dirige allo scopo, ci è propizio presso Gesù e Maria in vita e in morte... Per noi la consacrazione religiosa è contratto con Dio e con S. Giuseppe: per la nostra santità; per il collegio: i debiti; per la congregazione: regolarità e fervore; per la Chiesa: un’anima fervente... ».

Si appuntò pure: «Tra i doni di cui i cristiani devono ringraziare Dio: creazione, redenzione, paradiso, e sua madre la madre no-stra; tra i doni di cui noi confratelli: quello di avere a nostro protettore e padre il padre di Gesù, di Dio incarnato e padre nostro. Monstra te esse patrem. Il suo patrocinio comprende tutto: difesa, protezione. Diciamogli, come a Maria: – Sub tuum praesidium confugimus, sancte Joseph».

7.6 Il 7 maggio 1876, dopo aver parlato del cuore di Gesù ‘fonte delle grazie’ e di Maria e Giuseppe come dei ‘due canali’, concluse: «in punto di morte saremo contenti di aver appartenuto a S. Giuseppe? Anzi, non è questo un segno di predestinazione; di gran santità, cui si è chiamati? È il protettore della vita interiore». Nel Natale del 1879 scrisse: «La festa di oggi ci fa avvertire che noi siam fratelli di Gesù in quanto oggi Giuseppe divenne padre adottivo di Gesù. Gesù lo chiamava padre; e Giuseppe guardava Gesù come figlio. E anche noi nella consacrazione [religiosa] lo chiamiamo padre, ed egli ci guarda quali figli, così abbiamo una nuova fratellanza con Gesù in S. Giuseppe».


Devozione a S. Giuseppe e l’Eucarestia

8. Interessanti sono alcuni appunti che riguardano il rapporto tra la devozione a S. Giuseppe e l’Eucarestia. Accennàti nel paragone tra Giuseppe figlio di Giacobbe e il nostro Santo, furono sviluppati anche altrove. Il 19 marzo 1898 appuntò: «In un libro, che dispone i sacerdoti a celebrare con divozione la S.a Messa si suggerisce l’idea che, quando dopo il Pater si pulisce con il purificatoio la patena, su cui si depone subito dopo l’Ostia consacrata, il corpo vi-vo e vero di G.C., si immagini di essere S. Giuseppe che prepara il presepio, la cuna del Bambino: con quanta cura, con quanto piacere interno! E noi prepariamo non solo la patena su cui deporre momentaneamente il corpo del Signore, ma il calice in cui versare il sangue di Gesù. Se S. Giuseppe, invece della culla avesse avuto da preparare il suo cuore a ricevere G.C., quale preparazione, quale Comunione santa! Dopo quelle di Maria, nessuno più fervorosa. Imitiamolo; preghiamo che ci disponga. Ricordiamo che in quel libro si raccomanda di immaginarsi di ricevere la Comunione delle mani di Maria SS.ma; così pure le preghiere del Giovane Provveduto. Ebbene, oggi dalle mani di S. Giuseppe».

Nella festa del patrocinio del 1894 si appuntò: «Prima della Messa: fede, umiltà, fiducia di S. Giuseppe quando baciava Gesù. Noi nella Comunione, che non ebbe lui la fortuna di fare... Vediamo di assicurarci Ia perseveranza in collegio, e speranza fuori. Che fare per perseverare? I tre soIiti: fuga delle occasioni – preghiera – sacramenti. Ma un mezzo che aiuti a praticare questi medesimi mezzi, che ci faccia costanti ? 1º la divozione a S. Giuseppe; 2º al sacro Cuore... Come ottenerla? La comunione al mercoledì: suo piacere, nostro vantaggio. La Comunione lascia impressioni..., due Comunioni settimanali [al mercoledì in onore di S. Giuseppe, al venerdì in onore del sacro Cuore] ».

8.1 In una pagina, dove san Leonardo sviluppò il paragone tra Giuseppe figlio di Giacobbe e lo sposo di Maria, scrisse: «Giuseppe fece assai più che l’antico Giuseppe: conservò il pane vivo disceso dal cielo; lo conservò non solo all’Egitto e qualche israelita, ma a tutto il mondo. Sì, Giuseppe salvò da Erode il pane vivente disceso dal cielo, affinché dopo 30 anni potesse darsi in cibo agli apostoli e, per essi, a tutti gli affamati della vita e felicità eterna. Giuseppe tiene nascosto questo frumento degli eletti per 30 anni: la casa di Giuseppe fu un misterioso tabernacolo; le sue braccia una pisside; il suo petto una patena su cui Gesù dormiva... E questo corpo san-tissimo di G.C., che ci nutrisce per la vita eterna, fu nutrito dalle fatiche di Giuseppe.

Noi sacerdoti, che siamo gli intendenti, gli economi della casa di Dio, i dispensatori dei doni di Dio, come Giuseppe, alziamo, abbassiamo il corpo di Gesù, baciamo la patena su cui riposa. Deh! impariamo da Giuseppe ad accostarci con fedeltà, purezza, amore... Anime divote, che avete fame del cibo del cielo: – Ite, ad Joseph, e fate ciò che vi dirà [Gen 41,55]. Vi dirà che ci vuole innocenza, fede viva, umiltà; amare Maria, fuggire gli Erodi: il rispetto umano, il sensualismo; preferire Gesù a tutto. Giuseppe vi insegnerà come tenere compagnia a Gesù, ad amarlo, carezzarlo, pregarlo... ». E concluse con la seguente preghiera:

«0 Giuseppe, noi siamo vostri servi e vostri figli. Venite ad abitare in questa nuova Nazaret. Venite a regnare su noi: noi vi diamo gli stessi poteri che aveste sulla famiglia di Nazareth.

0 Giuseppe, siate il fedele custode di Gesù e Maria fra noi; il padre di questa famiglia su cui l’eterno Padre vi ha costituito. Amen».


Alcuni dati

9. Prima di finire accennerò alcuni dati:

a) durante la sua vita san Leonardo intitolò a S. Giuseppe la sua congregazione religiosa (fondata il giorno della festa del santo nel 1873), la casa-famiglia per operai, l’istituto educativo di Volvera; intitolò alla santa Famiglia l’oratorio festivo di Oderzo; istituì la confraternita di S. Giuseppe al Collegio Artigianelli – poi diffusasi in altre opere della congregazione – e il gruppo S. Giuseppe tra i dirigenti dell’oratorio S. Martino.

b) Nei manoscritti troviamo la sigla J.M.J. (Jesus, Maria, Joseph) ben 842 volte; quella G.M.G. (Gesù, Maria, Giuseppe) 99 volte e 23 volte W G.M.G. Inoltre la sigla, o la dicitura completa S.G.a.d.c. d. G. (Giuseppe, amico del cuore di Gesù) 27 volte. Nell’epistolario 103 volte compare la sigla J.M.J.; G.M.G. 285 volte, altre 285 volte W G.M.G. Fece inoltre seguire la sua firma da C.S.J. (Congregationis Sancti Joseph) ben 356 volte.

10. Da ultimo voglio riportare alcune poche, ma significative testimonianze giurate portate ai processi canonici sulla devozione di san Leonardo verso S. Giuseppe.

Affermò Don G. Costantino: «Il servo di Dio dimostrò la sua divozione al gran patriarca S. Giuseppe non solo col pregarlo nelle frequenti necessità, ma animava pure tutti a confidare nel suo potere e invocarlo nei bisogni, a imitarne le virtù per averlo protettore in vita e in morte. Volle che... in tutte le case della Pia società ci fosse un altare e una statua del nostro Santo patrono, la cui festa, preceduta da novena, voleva celebrata con grande solennità».

Don E. Reffo attestò: «Inculcò più volte nelle sue lettere circolari ai confratelli questa divozione; lo invocò e lo fece invocare più volte con novene speciali nei bisogni spirituali e temporali del Collegio degli Artigianelli e della congregazione. Promosse la divozione del Culto Perpetuo, e l’ultima sua raccomandazione, fatta prima di morire, fu che si celebrasse con singolare divozione il mese di S. Giuseppe».

D. G. Reineri ricordò che egli: «onorava e faceva onorare con speciali preghiere i giorni di mercoledì, e specialmente il primo del mese, invocandolo con apposite preghiere per ottenere la buona morte». D. Mosele aggiunse: «tra le preghiere che ci suggeriva in onore del Santo erano in modo particolare le Sette suppliche»; e l’ex-allievo sig. Accomasso precisò: «ogni mercoledì lo faceva onorare con pie pratiche, specialmente esortando alla santa Comunione».

Il sig. Quirino dichiarò: «faceva onorare S. Giuseppe con la recita delle Sette Allegrezze e le Sette Suppliche, nelle quali aveva grande fi-ducia»; e Don Franchi osservò: «pare che siasi studiato in tutta la sua vita di volerne ricopiare le virtù, specialmente dell’umiltà e del nascondimento».

Nel secondo processo canonico il can. Giuganino disse: «nella domenica del patrocinio di S. Giuseppe invitava gli ex-allievi perché facessero la Comunione, e li teneva poi a pranzo», il confratello sig. Mantelli attestò: «egli volle che la novena di S. Giuseppe fosse sempre solenne: con predicazione quotidiana, funzioni speciali, e volle la massima solennità nel giorno della festa». Un altro confratello coadiutore, il sig. Minoglio, ricordò: «la cospicua eredità del conte Guarene, che venne a sollevare le angustie economiche del collegio e del servo di Dio, si ebbe appunto nella novena di S. Giuseppe dell’anno 1899».

Pur risultando forse troppo lunga per essere contenuta in un artico-lo, la presente documentazione è solo una parte di quella che ci è pervenuta; sufficiente però, almeno credo, a delineare le linee fondamentali della devozione a S. Giuseppe come san Leonardo la visse e la inculcò. Forse qui i confratelli di S. Giuseppe possono trovare interessanti spunti per «diffondere nella Chiesa la venerazione» di questo santo, che «essi considerano loro compito specifico», come viene affermato nell’art. XVII delle Costituzioni.





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