da: AA.VV., San
Giuseppe: sposo - padre - educatore, Centro Studi san Giuseppe LEM, Roma,
1996
Dentro la spiritualità di San Leonardo
1. Penso che sia anzitutto utile inserire
l’argomento dentro le linee essenziali della spiritualità di san Leonardo.
Essa, a mio meditato parere, consiste, cioè si fonda, ha la sua base su alcuni
pilastri portanti.
La convinzione sperimentata, accettata e
interiorizzata dei propri limiti e debolezza personale diventata gradualmente
un modo e uno stile di atteggiarsi e comportarsi in verità davanti a Dio e al
prossimo; e anche un modo di vedere cose, avvenimenti e persone alla luce di
questa verità. Di qui uno stile di modestia, di adattabilità, di disponibilità
nelle vicende quotidiane, concrete; e anche nel modo di esercitare il suo ruolo
personale sia all’interno dell’Opera Artigianelli che nella sua congregazione
religiosa e nei movimenti cattolici diocesani, regionali, nazionali.
La convinzione di fede, diventata progressivamente
convinzione anche psicologica, che Dio è amore misericordioso per Sua stessa
natura, quale ci fu rivelata in Gesù Cristo, Dio fatto uomo, cioè amore
misericordioso reso visibile in un modo
di essere e di vivere da uomo. Di qui
la ricerca della volontà di Dio come unico bene dell’uomo e perciò la
accettazione serena delle disposizioni della Provvidenza, anche nelle
avversità; la disponibilità totale ai
progetti di Dio, come si rivelano nella realtà dell’esistenza.
La devozione profonda verso l’Eucarestia: oblazione continua che Gesù Cristo fa di Sè in modo totale, gratuito; e la Sua
presenza sacra-mentale, nascosta e sempre disponibile, efficace a rendere ogni cristia-no/a davvero figlio/a di Dio a
Sua immagine e somiglianza. Tale
devo-zione divenne in san Leonardo vera e
propria struttura spirituale portante,
che si arricchi nel tempo con le accentuazioni tipiche della spiritualità
del sacro Cuore: risposta di amore riconoscente. affettivo, e di riparazione:
amore effettivo e zelo.
La
devozione a Maria, intesa come tramite scelto da Dio sia per l’incarnazione e
l’educazione infantile di Gesù Cristo, sia per l’educazione materna di ogni
cristiano/a fino a che sia realizzato in essi la vocazione a essere figli/e di
Dio incarnati/e: mediazione materna.
In questa luce vanno visti e interpretati tutti gli
altri aspetti della vita di san Leonardo e perciò anche quello del culto e
della devozione a S. Giuseppe e alla santa famiglia.
Dal "Panegirico di San Giuseppe"
2. Le prime espressioni scritte da san Leonardo su
S. Giuseppe si trovano in un manoscritto del 1857, che egli intitolò
‘panegirico di S. Giuseppe’. Meriterebbe di essere riportato integralmente, sia
perché quasi irreperibile alla maggior parte dei confratelli – e tanto più
degli estranei –, sia perché, come dissi, è il primo documento in ordine di
tempo.
Qui devo forzatamente riassumerlo nelle sue linee
essenziali.
L’esempio e l’intercessione di santi sono di grande
aiuto a chi sta ancora camminando faticosamente verso il paradiso sia perché «i
loro splendidi esempi hanno una mirabile
forza di attrarre altrui dapprima all’ammirazione e all’amore e indi alla
pratica delle virtù stesse», sia per «la
valida intercessione che gli uomini virtuosi e santi, già perveuti a godere
dell’eterno premio, possono adoperare a favore di quelli che ancora si trovano
fra le battaglie e i pericoli della vita».
Tra i santi si distingue sia per le virtù esercitate
che per la potenza dell’intercessione san Giuseppe, tanto che «diventare suoi veri divoti» significa
avere «una sicura caparra di poter un
giorno venire anche noi a partecipare alla sua gloria».
San Leonardo trova quindi il fondamento delle sue
affermazioni nei vangeli, e precisamente nelle tre affermazioni: uomo giusto –
sposo di Maria – padre di Gesù. Dopo aver detto che gli esempi da imitare in
lui «saranno quel distacco dalle cose del
mondo e quella vita nascosta, che tanto debbe stare a cuore di chi pure brami
giungere un dì alla vita eterna», spiegò il senso delle affermazioni
evangeliche; ne riporto le espressioni più significative.
a) «La vera gloria, quella che nasce dalla
virtù dell’animo, fu al tutto propria di quel Giuseppe che doveva essere
virtuoso e santo così da poter essere non indegno sposo della più santa fra
tutte le creature, egli che meritò che lo Spirito Santo per bocca di S. Matteo
lo designasse col nome di giusto [Mt 1,19], vale a dire dotato di ogni sorta di
virtù
in grado di più
eminente...».
b)
Egli fu «... virtuoso così da poter
essere sollevato all’altissima dignità di sposo della Madre di Dio... Gli sposi
debbono avere una somiglianza, e analoghe inclinazioni d’animo... ‘Giuseppe,
sposo di Ma-ria ’! [Mt 1,16]: tal parola ci dice che Giuseppe... possedé la
parte migliore degli affetti del cuore di Maria, il più puro, il più santo. Ci
dice che ei fu il fedele suo consorte, che divise ognora le gioie e i dolori,
le speranze e i timori della più eletta fra le figliuole di Eva; che fu il
fortunato custode della verginità di questa primogenita tra le figlie di
Dio,che fu lo sposo mortale della mistica sposa dello Spirito Santo!; che fu,in
una parola: custode – compagno – sposo della Madre di Dio! Dignità e gloria
così sublime e sovrumana che, se ne eccettui la maternità di Maria, altra più
sublime tu non trovi in terra.
c) Seppure non è sorpassata dal grado di essere
custode e padre,come suol dirsi putativo, di Gesù, l’Uomo-Dio: il che forma
appunto il secondo titolo della gloria e della grandezza di S. Giuseppe...
Giuseppe fu fatto custode di Gesù, del più ricco tesoro che vi abbia non
solo sulla terra, ma benanco nel cielo; di quel Gesù che, se vero uomo, è pur
anco vero Dio, onde può dirsi che la casa di Giuseppe diventa il tempio di Dio,
giacché Dio stesso vi abita sotto spoglie mortali!...E non solo egli riceve
l’ufficio di custode a riguardo di Gesù, magli è affidato pur anche l’ufficio e
il nome di Padre di Gesù! E a ciò chiaramente intendere, occorre ricordare che
quando il Figliuolo di Dio discese qui in terra, ei nacque per miracolosa opera
dello Spirito Santo da una madre vergine, e non ebbe padre terreno. Egli aveva
bensì un Padre celeste, ma questo Eterno Padre pare quasi dimenticare
e abbandonare questo suo Figlio, che veniva a patire per gli uomini. Affinché
sovrano fosse il suo soffrire, ei quasi lo abbandonò, come se più non lo
riconoscesse per figlio, lasciandolo dal suo primo nascere al suo morire in
croce in preda alla miseria e al dolore. In tale suo ab-bandono però lo stesso
Celeste Padre lo offre ad un uomo mortale, on-de abbia cura della sua infanzia
e compia verso di lui le veci di padre.E l’uomo prescelto ad una tanta opera è
Giuseppe. Da quel punto egli non vive più che per Gesù, non ha più cura che di
lui; egli assume per lui cuore e viscere di padre, e diviene per affezione ciò
che non è per natura. Egli è infatti che dà il nome a Gesù; è egli che viene in
sogno avvisato dagli angeli delle minacce che sovrastano Gesù; è egli che lo pone
in salvo in Egitto e indi lo riconduce nella Galilea; è egli che lo provvede
nella sua infanzia del sostentamento: egli in una parola che compie verso il
Salvatore del mondo il ministero di padre». Altra volta scrisse
sinteticamente: «Degno sposo di Maria
quando sposò; degno padre di Gesù».
E continuò: «Tutti
gli uomini della terra invocano Dio col nome di Padre, e il Figlio di Dio
chiama Giuseppe con questo stesso nome. Oh, quali soavi agetti non doveano
suscitarsi nel cuore di Giuseppe allorché egli sentiva chiamarsi con tal nome
da quegli che egli venerava come Dio! Qual contento per lui il vederlo tutto dì
a sè attorno, l’abitare sotto lo stesso tetto, l’assidersi alla stessa mensa!
Con quanto affetto non avrà egli indirizzato a Gesù il caro nome di figliuolo!
Con quale riconoscenza avrà egli talora meditato sulla altezza della gloria, a
cui era stato dal suo Dio elevato! Vivere insieme con l’Uomo-Dio; essere
famigliare dell’Uomo-Dio!...».
Dopo aver accennato alla sua morte «fra le braccia di Gesù e Maria», e al tema
classico del paragone tra Giuseppe, figlio di Giacobbe e san Giuseppe, san
Leonardo illustrò la potenza della sua intercessione.
«Oh, qual
seggio glorioso non sarà dunque nella casa dei santi quello dell’inclito sposo
della regina del cielo, quello del custode e pa-dre del re del cielo 7 Quale
adunque non sarà eziandio la efficacia del-la sua intercessione? A farvene
formare un adeguato concetto io non ho che a qui recarvi il testimonio di
quella serafina di amore che è san-ta Teresa». E qui citò una lunga pagina
presa dall’autobiografia della Santa, dove ella afferma che: «Dacché io scelsi a mio patrono e
protettore il glorioso S. Giuseppe, io ebbi da lui una assistenza così grande
e così pronta, tale che mai non avrei osato domandargliela. Io non mi ricordo
di avere giammai a Lui domandato alcuna grazia che io non l’abbia ottenuta, e
non posso pensare senza meravigliarmi a tutte le grazie che Dio mi ha fatto per
sua intercessione, ai pericoli da cui egli mi ha liberata così per l’anima come
per il corpo. Egli pare che Dio accordi ad altri santi la grazia di soccorrerci
in qualche particolare bi-sogno, ma io so per esperienza che san Giuseppe ci
soccorre in tutti quanti, come se il Signore volesse dare a vedere che, nella
stessa guisa in cui era a lui soggetto in terra perché gli tenea luogo di padre
e ne portava il nome, così ora non possa a lui negare niente nel cielo. Altre
persone, a cui io consigliai di ricorrere alla sua intercessione, hanno provato
la cosa istessa, e io riconosco ogni giorno più la verità di quanto dico...
Io non mi
ricordo di avere mai da molti anni implorato da lui una qualche grazia nel
giorno della sua festa che io non l’abbia ottenuta.
L’esperienza
che io ho delle grazie che Dio concede a richiesta di questo Santo mi fa desiderare
di poter indurre ognuno ad avere una divozione grande per lui, mentre io non
conosco alcuno che abbia per lui avuto una vera divozione e che non siasi
avanzato nella virtù. Io prego tutti coloro che non vorranno credere alle mie
parole di voler fare essi stessi la esperienza, ed essi proveranno certamente
quanto è utile e vantaggioso il ricorrere a questo grande Patriarca con una
divozione particolare».
A conclusione del suo panegirico, san Leonardo,
secondo il suo stile di uomo concreto, propose: «Ripetete sovente, di cuore, ogni giorno quella bella orazione: –
Gesù, Giuseppe, Maria vi dono il cuore e l’anima mia. Gesù, Giuseppe, Maria
assistetemi nell’ora della mia agonia –. Lo farete voi? Quali fra voi? Chi no?
Ciascuno risponda a sè: lo farò? Piace a Dio; perché non farlo? Bisogna
cominciare subi-to, stasera, e farsi uno scrupolo la prima volta che si lascia;
fissare il tempo. Sembran minuzie, ma è necessario.
Associate il
suo nome a quello di Gesù e di Maria quando dite quell’altra orazione giaculatoria:
– Lodato sempre sia il nome di Gesù, di Giuseppe e di Maria. Chiedete anche
voi, ma chiedetegli di cuore la grazia di poter divenire e mantenervi sempre
sue vere divote. Se tali voi sarete, vivrete una santa vita, morirete di una
santa morte, giungerete a godere con lui una beata eternità».
Da una
esortazione agli affigliati della Confraternita di S. Giuseppe
3. Tra il centinaio di pagine dei manoscritti
autografi di san Leonardo che parlano di S. Giuseppe voglio riportare
integralmente questa, che porta la data del 1877. Sono gli appunti per una
esortazione agli affigliati della Confraternita di S. Giuseppe, da lui stesso
iniziata nell’ambiente del Collegio Artigianelli di Torino, e che fu inizio e
semenzaio della congregazione religiosa da lui fondata.
«Nella vita di
S.a Margherita da Cortona (si legge che
Gesù Cri-sto le apparve e disse: – Se vuoi farmi cosa grata, sii devota
e onora ogni giorno il mio padre putativo S. Giuseppe –.
In questo mese
di marzo e durante la novena cercheremo di animarci alla divozione. In che
consiste la divozione? 1º – nella stima; 2º – nella confidenza, dalla quale
nascono: a) amore nel cuore; b) pratica, imitazione.
La ven. Maria
Catterina di S. Agostino [1632-1668, suora ospedaliera] nel
giorno dell’Ascensione vide in estasi l’ingresso di Gesù Cristo in cielo. S.
Giuseppe era alla testa dei santi dell’Antica Legge. Gesù lo presentò al Padre
Eterno e promise che continuerebbe a far la volontà del padre putativo.
Qual è la
nostra divozione? La stima? La confidenza? L’Amore? L’imitazione. Facciamo la
Comunione al mercoledì? Giaculatorie? Nelle necessità ricorriamo a lui?
Abitualmente? Portiamo la meda-glia? Diciamo la preghiera: Ave Joseph?...
Mettiamoci nella novena... ».
Altra volta scrisse: «Dopo la divozione a Gesù Cristo ed a Maria, quella a S. Giuseppe è la
più eccellente, la più utile, la più necessaria».
La vita a Beltlemme
4. Tra i vari aspetti della devozione a S. Giuseppe
ebbe particolare accentuazione in san Leonardo quello della vita trascorsa a
Betlemme, e poi in Egitto e a Nazareth. Gli appunti svelano chiaramente gli
elementi fondamentali della sua stessa spiritualità. Egli meditava, o meglio
contemplava la vita infantile di Gesù, e perciò di Maria SS.ma e S. Giuseppe,
anzitutto come scuola di «tutte quelle
virtù che furono proprie e caratteristiche della sua santa infanzia: la umiltà,
la dolcezza, la semplicità; virtù che sono base di quell’edificio spirituale
che è come il preludio e l’aurora della vita eterna».
Nel fatto dell’incarnazione del Figlio di Dio, egli
vedeva anzitutto la prova dell’amore di Dio per noi: «badiamo, o fratelli, che questa è verità di fede, e chi avvertitamente
dubitasse di questo amore di Dio per noi sarebbe non pure un ingrato, ma
cesserebbe persino di essere cattolico... Dio ci ama di tutta l’essenza e del
medesimo amore che uni-sce insieme le tre divine Persone, perché, non essendovi
in Dio che una sola essenza, non vi ha pur anche che un solo amore; quindi lo
stesso amore di cui Egli ama se stesso è pure l’amore di che ama le sue
crea-ture...».
Contemplava poi le lezioni di umiltà, che furono
anche oggetto dell’ammirazione di Maria e Giuseppe. Stralcio le espressioni più
significative:
«La prima
cattedra, da cui il maestro divino bandì la sua celeste dottrina a salute degli
uomini, fu il presepio... ora, primo fondamento e parte essenziale della
dottrina di G.C. è l’umiltà; adunque volea essere precipuamente inculcata
dall’eloquente linguaggio degli esempi di un Dio bambino... Il paradiso è il
regno degli umili: esso è quella patria beata, in cui debbe essere esaltato chi
si sarà nell’esilio umiliato. Ep-però è la sola umiltà virtù del tutto
necessaria, dacché essa sola ci apre quelle porte eternali; è in qualche modo
di assoluta necessità a poter avere salute... G.C. stesso di propria bocca ci
dice che se non ci faremo piccoli come pargoli non potremo entrare nel regno
dei cieli: – nisi efficiamini sicut parvuli, non intrabitis in regnum coelorum
– (Mt 18,3).
E questa virtù
è così nobile che, sola fra tutte, è la virtù di Dio..., imperocché in Dio
esser buono, santo, misericordioso non è virtù, ma natura; in lui è solamente
virtù l’essere umile. Dio non può esaltarsi più di quello che egli è nel suo
essere altissimo, ma può bene umiliarsi e impicciolirsi, come di fatto egli
fece nella sua incarnazione: “humiliavit semetispum... exinanivit semetipsum”
(Fil 2,8.7).
Virtù a noi la
più vantaggiosa perché essa è che designa il trono nostro nei cieli, designa il
grado di gloria. di letizia, di amor divino che ci farà beati per tutta
l’eternità».
San Leonardo nei giorni seguenti della novena
insistette sulla fidu-cia che dobbiamo avere in Dio Amore Incarnato:
«Ed eccolo
questo vago bambino, stretto fra le fasce, che non sembra poter nulla senza
l’aiuto della madre: un bambino che non ha che grazie e dolcezze; un bambino
povero, indigente di tutto, che ci intenerisce con le sue lacrime e i suoi
vagiti, che muoverebbe a pietà il cuore di un barbaro... “Che temi tu, o uomo7
– esclama S. Bernardo. – Perché tremi al cospetto del Signore che viene? Egli
non viene a perderti, ma a salvarti”. Sì, a salvarci: e Salvatore sarà appunto
il nome che egli fra pochi dì vorrà assumere... Egli si proclamerà nostro
fratello... Assumendo questa nostra natura..., volendo che scorresse nelle sue
vene il nostro sangue; cosicché di Gesù possiamo dire: “frater et caro nostra
est” (Gen 37,27) – egli è nostro fratello e nostro sangue. E di questo nome
volea poi un giorno designarci egli stesso: “Ite, nuntia-te fratribus meis” (Mt
28.10). E S. Paolo scriveva più tardi che Gesù era il primogenito tra molti
fratelli: “primogenitus in multis fratribus” (Rom 8,29). E fratello a tutta ragione possiamo gloriarci che egli sia a noi quando
pensiamo che egli ci fece figli del suo celeste Padre: “dedit eis potestatem
filios Dei fieri” (Gv 1.12); ci diè la stessa sua madre» (cf. Gv 19,26-27).
Gesù fanciullo ed adolescente
5. La fuga in Egitto, la permanenza là, e poi tutta
la vita nascosta a Nazareth costituiscono un vero ‘mistero’ per la nostra
intelligenza e sensibilità; anzi un controsenso. Fin nel 1852 san Leonardo
preparò un discorso sulla confidenza in Dio per l’Accademia di sacra eloquenza.
In esso, dopo aver parlato della nascita a Betlemme egli scrisse:
«Artigiano:
non è un povero artigianello, il figlio di un legnaiuolo che debba incutere
timore, o togliere alcunché di fiducia nel ricorrere a lui... Il Figliuol di
Dio si è ridotto alla condizione di un povero artigianello, e non appare che
figlio di un legnaiuolo! Sarà egli per recare nel mondo il timore e la
diffidenza? Vedete, oh vedete le industrie di Gesù per dare a noi dimestichezza
amore...».
San Leonardo tornò più volte a contemplare questo
‘mistero’. Nell’anno trascorso a Parigi, all’inizio del 1866 il sig. Icard
tenne il ritiro mensile sul tema: «Gesù a
Nazareth: vita nascosta», e il ‘seminarista’ San Leonardo si appuntò in
francese, le espressioni di cui darò una mia traduzione:
«Così nascosto
che quando predica anche i suoi conoscenti diran-no: “Ma come, lui che non ha
imparato a leggere?”. Perché?
1º – per
consolazione della maggior parte degli uomini, dei quali sono pochi quelli che
fan rumore nel mondo...».
Dal can. Galletti nel 1864, durante gli esercizi
spirituali da lui dettati a S. Ignazio di Lanzo, san Leonardo si appuntò: «Adesione pratica a Gesù: tutta la vita.
Tener sempre fisso lo sguardo in Gesù e guardare se stessi...; che cosa fece, e
che cosa vuole o brama...
Ci consacrammo
a Gesù, vogliam vivere la vita di Gesù. Vediamo in prima la sua vita privata in
Betlemme, in Nazareth».
Dopo aver accennato a Betlemme il can. Galletti
continuò:
«I. – ‘Erat subditus illis ’
(Lc 2,51): ci insegna:
1º – A fare la
volontà dell’eterno Padre;
2" – ad
avere ubbidienza ai superiori, al confessore, anzi, – come insegna Olier – a
tutti i cristiani: considerare ogni anima come regina del sacerdote, che è
servo generale di tutta la Chiesa e particolare di quelle a cui è addetto.
3º – Ritiro...
4º – Lavoro.
Gesù, avendo la scienza infusa, si diè a un lavoro vi-le, perché lo
stimassimo...
5º – Preghiera...
dire Rosari, Angelus, Via crucis, e pratiche che nutrano (!) la divozione.
Prima del lavoro, pregare.
Il. – ‘Et
proficiebat... ’ (Lc 2,52). Manifestiamo anche noi
‘coram hominibus’, ma più ‘coram Deo’».
Nel 1871, durante un corso di esercizi predicati a
Bra dal suo ex-ripetitore universitario teol. Agostino Berteu, si appuntò:
«I. Vita
nascosta. Gesù doveva farsi conoscere come Dio; doveva darci esempio = Betlemme
e Nazareth... Ritorna a Nazaret, d’onde nulla può uscir di buono (Gv 1,46). Un
mestiere, falegname; umile e ri-tirato in casa. Nascosto per 30 anni: non
prediche, non miracoli. Ep-pure pare che avrebbe fatto tanto bene, tante
conversioni... Altre le vie del Signore (Is 55,8-9)...
Vita
‘abscondita in Deo ’ (Col 3,3): Dio, Dio, in tutto Dio: “Gesù” rimira Dio, parla di Dio, opera per Dio, sospira a Dio: slanci d’amore,
soffre per Dio... ».
Da
mons. Gastaldi si appuntò nel 1875: «In
Nazaret santifica le arti umili; non le cattedre dei filosofi, nè imprese di
capitani, ecc., ma falegaame,corse lavò le scodelle. A Milano i Barnabiti
conservano in un armadio la conca di pietra ove S.Carlo, facendo gli esercizi
spirituali, lavava le scodelle.
Conclusioni pratiche:
umiliazioni: non bramar qualche lode, che toglie il poco merito; ma aspettarsi
umiliazioni, aspettarci patimenti: non ascoltar la carne e il
sangue; anche in opere non obbligatorie.
Guardare nei superiori la
dignità, non la sapienza ecc. Chi più sapiente: Maria o Gesù come uomo?
Eppure...».
Quando poi san Leonardo volle parlare ai suoi
confratelli della vi-ta nascosta di Gesù Maria e Giuseppe a Nazaret scrisse:
«Gesù venga
nella nostra mente, cuore, si manifesti nelle opere... Servire Dio imitando
Gesù, epperò studiarlo; ‘meditari’? Gesù modello».
«In Egitto:
nessun miracolo, come a Betlemme. Giuseppe probabilmente era garzone d’un
ebreo, o idolatra; incerti del quanto tempo... Per il ritorno, che durava circa
un mese, forse dovettero elemosinare per le spese del viaggio. G.C. andando
era bambino, in braccio, ma tornando forse aveva 5 o 7 anni – non si sa di certo, tutto oscuro –: o a piedi o di maggior
aggravio ai parenti; o se avevano un giumento, spesa per cui ebbero a
questuare. (Gesù cresceva magrolino)...
A Nazaret,
fino a 28 anni: “effectus sicut parvulus” [cf Is 9,6]... “Subditus”... Gesù certo non si faceva maestro a Giuseppe; imparava
esso; ubbidiva: andava alla sinagoga e ascoltava, andava a funzioni in
Gerusalemme benché non ancora obbligato come non adulto.
Frutto:
1º – Noi
‘parvuli coram Deo ’: umili, conoscendo nostro nulla; di-pendenti da Dio in
tutto.
2º – ‘Parvuli
coram hominibus’: dipendenti dai superiori, e nulla curanti di comparire qualche
cosa ‘coram eis’».
Si legge in un altro appunto: «In Nazareth. 1º – Vita di ritiro e na-scosta agli occhi del mondo...
Nascondimento: nessuna figura; vita oscura, nascosta...
2º – vita di
ubbidienza: “erat subditus”. Chi? L’uomo-Dio. A chi? A sue creature. In che? In
tutto che non peccato. Ubbidienza dei religiosi... ; ad omnia... ».
Espressioni riguadanti san Giuseppe
6. Non si deve pensare che sia andato fuori del
seminato fermandomi tanto sulla vita di Gesù infante, fanciullo e adolescente:
queste furono le meditazioni – contemplazioni fondamentali di S. Giuseppe,
quelle su cui egli modellò se stesso, e quindi sono da imparare e intercedere
da lui. D’altra parte questo furono pure molta parte della meditazione –
contemplazione di san Leonardo (i suoi appunti su tali temi occupano un
centinaio di pagine!).
Meno importanti si possono considerare – nella linea
della spiritualità – le espressioni, che pur si trovano numerose nei suoi
manoscritti.
Sulla grandezza di S. Giuseppe, d’altronde già qui
illustrata sulla base del vangelo e dell’autorità della Chiesa.
Sulla sua morte preziosa, che lo abilita a
protettore di ogni buona morte.
Il paragone con Giuseppe figlio di Giacobbe.
La sua gloria celeste (spesso san Leonardo ricordò
l’episodio del pittore che aveva presentato il bozzetto di un quadro della
Immacolata Concezione al papa Pio IX. Quegli aveva messo san Giuseppe «In un angolo, su un gruppo di nuvole», ma
il papa gli disse: «No; qui vicino a
Gesù. Questo è il suo posto in cielo».
La potenza della sua intercessione. Qui riporto solo
alcune espressioni significative: « Come
a Maria, Gesù non dice mai di no a S. Giuseppe, perché anch’essi non dissero
mai di no. Solo per Maria e S. Giuseppe la Chiesa celebra la festa del
patrocinio. Maria avvocata patrocinante prima; Giuseppe avvocato patrocinante
secon-do. S. Giuseppe presso al trono di Gesù è potente, onnipotente. A lui mai
di no». Altrove si legge: «Oh, se
potessi farvi tutti divoti di S. Giuseppe! Tutti in paradiso. S. Giuseppe come
Maria è onnipotente; Gesù non dice mai di no». Ricordò pure alcune volte
che una suora orsolina Maria Giovanna «si
era scritto il nome di S. Giuseppe sulla mano e, quando il demonio la tentava,
mostrava la mano, e il demonio andava in fuga». Altre volte scrisse: «Il cuore di Gesù è la fonte delle grazie, i
nostri cuori sono i vasi in cui esse si riversano, le preghiere di Maria e di
Giuseppe con i due canali».
Altri aspetti della sua particolare protezione: per
gli esercizi spiri-tuali (innumerevoli volte suggerisce all’inizio dei vari
corsi la giacula-toria: S. Giuseppe, amico del sacro Cuore, prega per noi); per
la casti-tà; per le difficoltà materiali (qui si parla soprattutto della grave
situa-zione finanziaria del Collegio Artigianelli); per la vita interiore; per
la perseveranza finale; per le vocazioni alla vita consacrata; per la Chiesa
universale.
La protezione di S. Giuseppe per i lavoratori
7. Particolare rilievo ha nei manoscritti di san
Leonardo, com’è ovvio, la protezione di S. Giuseppe per i lavoratori, per gli
affigliati della confraternita di S. Giuseppe da lui istituita nel Collegio
Artigianelli, per la sua congregazione religiosa, intitolata a S. Giuseppe.
7.1. Sull’esempio e l’intercessione particolare di
S. Giuseppe per i lavoratori san Leonardo scrisse numerose pagine di appunti;
alcuni suddivisi per i giorni della novena in preparazione alla sua festa del
19 marzo. Ai giovani frequentanti l’oratorio di S. Martino lo presentò come “amico amante e amato, modello e
protettore”; ai giovani artigianelli confidò che il detto scritturistico:
‘Qui elucidant me, vitam aeternam habebunt’ [Sir 24,31]» mi ritorna gradito e confortante ogni qualvolta si
presenta l’occasione di lodare S. Giuseppe: cosa lieta per me per il premio che
spero in morte, e lieta riguardo a tutti voi, cari giovani, poiché quanto
spero! Non è gran tempo che, parlando con persone che si interessano per voi,
parlando di cattivi si conchiudeva: – Verrà la novena di S. Giuseppe e
aggiusterà tutto».
Il primo schema di novena, che riporta la data del
1880, venne così impostato:
1º giorno: l’introduzione, cui abbiamo accennato;
2º: «Giuseppe lavorò, amò il lavoro», sottolineando
che il suo fu lavoro «principalmente di
mano, meccanico»; 3º giorno: «Giuseppe
elesse [accettò volontariamente?] lo
stato sociale e l’arte cui era chiamato da Dio..., fu legnaiuolo: non scienza,
non arti belle; ‘vocatus a Deo’ [chiamato da Dio] a ciò, da tutta l’eternità... E quindi lieto in questo mondo, caro a
Dio e agli uomini...»; 4º giorno: «Giuseppe
lavorava bene..., con giustizia, senza frodi, non con furbizia..., con
assiduità, con attività... Come Gesù davanti agli occhi, ad maiorem Dei
gloriam [alla maggior gloria di Dio]; come
dice il titolo del libro del p. Faber: Tutto per Gesù. ‘Qui laborat, orat’ [chi
lavora, prega]. La sua vita fu
un’orazione e contemplazione continua; le sue azioni esteriori mai interruppero
il raccoglimento e l’attenzione alla presenza di Dio...». Applicando poi
l’esempio alla vita concreta dei suoi giovani artigianelli aggiunse: «Quelle brevi orazioni, che dite in
laboratorio, se si dicon male si pecca, se invece bene tutto si indora:
preservano dal peccare, dall’essere puniti, santificano tutto».
Il quinto giorno san Leonardo propose «S. Giuseppe modello e protettore della
castità», affermando: «se non avesse
altro titolo, basterebbe questo per farci suoi divoti... Vi sono dei ragazzi
che confonono il peccato mortale con questo peccato: è un errore, ma ha un
lato vero: esso suol essere l’origine degli altri; più che gli altri dà la
morte alle anime e ai corpi... Certo che questo è l’indizio più sicuro di
dannazione». Nella vigilia della festa rivolse una calda esortazione alla
conversione, cioè a «fare una sincera e
fervida confessione, a fissarci un tenore di vita cristiana, che ci farà godere
la pace dei figlioli di Dio». Perciò domandò: «Crediamo noi al dogma dell’efficacia delle devozione ai santi 7 Che
essi ascoltano le nostre preghiere, che pregano per noi quel Dio di cui sono
amici 7 E se crediamo questo dogma della nostra fede, dobbiamo o no confidare
in S. Giuseppe? Gesù Cristo esaudisce i suoi servi, non esaudirà il suo padre
putativo, che è il primo dei santi del cielo? Non lo esaudirà? Ovvero, S.
Giuseppe non esaudirà noi che gli domandiamo grazie spirituali, utili a noi,
gloriose al suo Gesù; cioè la conversione sincera e totale del cuore 7 Dovrà
es-sere questa la prima volta che non si avveri la promessa di S.a Teresa?...
Può, S. Giuseppe Vuole?...».
Ecco un’altra «traccia
per novena». la trascrivo: «1º – lavorò,
non ozioso; 2º – lavorò nel lavoro voluto da Dio; 3º – lavorò in un lavoro umile;
4º – lavorò bene nel modo esterno: indefesso, attivo; 5º – lavorò secondo coscienza; leale; 6º – lavorò con purità di intenzione; 7º –
la-vorò con unione a Gesù Cristo. Quanti sono divenuti miserabili perché non
avevano amore al lavoro!», e continuò: «il
lavoro è un dovere, non solo una necessità. Dio comanda ad Adamo: – In sudore
vultus tui vesceris pane – [Gen 3,19: con sudore del tuo volto mangerai il
pane]; anzi lo creò innocente ‘ut
operaretur’ [Gen 2.15: perché lo coltivasse]. Il lavoro è un dovere – una necessità – un castigo – un merito... ».
Svi-luppò poi nel quarto giorno questa stessa idea. «Tutti, tutti devono lavo-rare, in qualsiasi condizione sociale e in
qualsiasi professione... Tutti non devono stare in ozio; tutti devono fare
penitenza; tutti farsi meriti lavorando per il Padre di famiglia, il padrone
della vigna... Ma non tutti nello stesso lavoro... Come andrebbe la società se
tutti fossero calzolai, od operai; se tutti avvocati, tutti medici? Purché si
lavori o si studii, non si ozii...» E continuò a spiegare: «In quale stato sociale? Quello che Dio
vuole. Dio dà un destino a tutti, lasciando talora libertà di scelta del
lavoro. Ma quale la condizione sociale da preferirsi? Se è lasciata la scelta a
noi, quale lavoro preferire. Quello che
più facil-mente ci conduce al fine ultimo, il paradiso... In qualsiasi
condizione sociale, in qualsiasi professione uno può essere felice in questo
mondo e beato nell’altro, a condizione che: 1º – scelga quello che Dio vuole;
2º – vi adempia i doveri: lavorando – nel modo che Dio vuole – col fine che Dio
vuole».
Nel sesto giorno ribadì le medesime idee presentando
S. Giuseppe come modello concreto: «lavorava:
non vizioso perché non ozioso; lavorava nella condizione sociale e nello
stato, nel mestiere umile in cui Dio l’aveva collocato... Nel mondo che cosa si
esamina? Chi paga di più; non se il padrone è buono, non se sono buoni i
compagni. E voi? Quale mestiere scegliere ora? Qual laboratorio? È una cosa
importante, per la quale occorre: pregare Dio – esaminare – chieder
consiglio... Non scegliere per capriccio, perché si fu sgridati, puniti; non
per leggerezza..., ma esaminando le forze fisiche, l’inclinazione, l’ingegno,
la parentela...».
Nel settimo giorno sviluppò il tema della vita
interiore di S. Giuseppe, modello per ogni lavoratore. Scrisse: «Che cosa era la vita interiore in S.
Giuseppe, nei santi; che cosa è in noi? 1º. Star raccolto, non dissipato,
guardare con l’occhio della mente e ascoltare sempre la voce interiore dello
Spirito Santo, e intanto guardare il cuore, se agisce in conformità..., non per
passione.
2º – Andar
dietro fedelmente alla grazia, alla voce dello Spirito santo come G.C.: ‘ductus
a Spiritu’ [Mt 4,1: condotto dallo Spirito].
3º – Sempre
alla presenza di Dio nel cuore, in unione a G.C.: Dio
mi vede, mi guarda.
4º – Purità di
intenzione: ad maiorem Dei gloriam... Così sì ‘qui laborat, orat’; in altro
senso: ‘qui laborat, peccat’... S. Giusep-pe nella bottega di Nazareth
piallava, segava esteriormente. ma interiormente raccolto guardava Dio –
seguiva le ispirazioni – aveva Dio presente nel cuore; aveva nell’intenzione la
volontà di Dio, la gloria di Dio; quindi: parlava a Dio – agiva per Dio – agiva
bene, come voleva Dio; soffriva perché Dio voleva. Da Dio partiva ogni pensiero,
prece, opera; a Dio tutto quanto...».
A rifletterci un poco, non può non meravigliare
questo profondo insegnamento rivolto da san Leonardo a giovani artigianelli,
che provenivano da famiglie disastrate, e non avevano ricevuto una ricca
sensibilità ai temi spirituali... Eppure egli lo faceva...; non può valere
anche oggi per tutti noi? e per il nostro ministero educativo?
7.2. Nella festa del patrocinio di S. Giuseppe il
giorno 8 maggio 1881, scrisse per un fervorino agli affigliati della confraternita
di S. Giuseppe: «Nell’atto di
consacrazione chiamiamo S. Giuseppe: protettore e padre. Formiamo una famiglia
quaggiù, per formarla poi lassù, giacché in cielo noi ci riconosciamo. Ma in
questa famiglia non ci sia nessun figliol prodigo, che abbia ad essere lontano
dalla casa, dalla famiglia di lassù, poiché... non basta essere nella
confraternita per salvarsi. Qual orrore! Un congreganista dannato veder tutti
gli altri salvi, e i salvi vedere uno dannato!!... Diciamo a S. Giuseppe. –
Monstra te esse patrem – [mostra che sei padre]. “Sub tuum praesidium...».
Si appuntò subito dopo: «I cingoli [che usavano gli affigliati e aggregati alla confraternita
suddetta]:
Iº – non sono
inutili: sarebbe bestemmia che la chiesa autorizzasse una inutilità; e poi si
leggono le benedizioni; 2º – ma non so-no un talismano, che assicuri; ci vuole
cooperazione, preghiera, fuga delle occasioni; i sacramenti sono
indispensabili...».
Forse ai medesimi giovani affigliati della
confraternita o ai con-fratelli spiegò un’altra volta perché S. Giuseppe fosse
stato scelto co-me patrono: «P – perché
falegname; 2º – perché il più grande dei santi: sposo di Maria, padre putativo
di Gesù con autorità di co-mandare; 3º – per la sua potenza: G.C. non gli dice
mai di no; la Chiesa lo proclamò patrono, dietro domanda dei vescovi, per le
persecuzioni che subisce in Prussia, in Russia; 4º – è il direttore
spirituale di chi manca di direttore». E consigliò: «Imitarne le virtù, specialmente l’umiltà, così della congregazione
come di se stessi».
7.3. Per parlarne ai confratelli si appuntò il 7
maggio 1875: «Perché l’umiltà e la prima
caratteristica della congregazione?
1º – Motivo
generale. S. Agostino afferma: tanta santità quanta umiltà;
2º – È
condizione di vita e di progresso per una congregazione religiosa.
3º – La nostra
è propria di S. Giuseppe: deve ricopiarlo, esprimerlo. Ora che è S. Giuseppe?
S. Giuseppe è un personaggio semplice, tranquillo, silenzioso, sovratutto
oscuro. Mai una parola di lui nel Vangelo; Maria, umile, gli presta la voce:
‘Ego et pater tuus... ’ [Lc 2,48: Tuo padre ed io ]. Sparisce dalla terra senza
che si sappia come e quando; vi si dice che era falegname, poi non se ne parla
più; non solo non miracoli. Anziché un personaggio è un’ombra che oscura,
un’ombra nel gran quadro che è l’economia del mistero del-la incarnazione. La
sua missione è di nascondere e oscurare.
In questo gran
quadro vi sono quattro personaggi: Dio Padre, Gesù Cristo, lo Spirito Santo,
Maria vergine: tanto splendenti. Quanti miracoli fanno in questo gran mistero!
S. Giuseppe è come l’ombra del quadro, ma invece che far risaltare le figure
come le ombre nei quadri materiali, qui è necessaria un’ombra che temperi lo
splendore di questi quattro personaggi. E S. Giuseppe da solo ha una vertu d’obscuritè
si étendue [Un
potere di oscurare così forte] che basta
per velarle, coprirle tutte sino a che piaccia a Dio di manifestarle al mondo.
La Vergine è nascosta alla sua ombra: la sua verginità e maternità sono coperte
dal velo del suo matrimonio con Giuseppe. Lo Spirito Santo ugualmente: – quod
natum est, de Spiritu Sancto est [Mt 1,20: quel che è generato in lei viene
dallo Spirito Santo], è il suo
capolavoro, è la sua gloria, ma Giuseppe ne spegne i raggi. L’Uomo-Dio è
nascosto in questa oscurità, tanto da passare per ‘filius fabri’ [Mt 13.55: figlio
del carpentiere]. Dio Padre non apparisce
padre di Gesù Cristo finché è obbligato a proclamare. ‘Hic est Filius meus, in
quo mihi complacui’ [Mt 3,17: Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale
mi sono compiaciuto].
Gli apostoli,
i santi, i martiri ebbero la missione di glorificare Gesù Cristo, Giuseppe di
nascondere G.C. fino all’ora della sua manifestazione... Ma siccome oscurare
la gloria divina è maggior mira-colo che manifestarla, perciò la onnipotenza e
la sapienza di Dio non si manifestò meno grande in S. Giuseppe che in tutti gli
altri santi, e questo santo si deve riguardare come quelle auguste tenebre di
cui parla la Scrittura, sotto cui la maestà di Dio si volle nascondere:
‘posuit tenebras latibulum tuuum’ [Sal 18,12: Si avvolgeva di tenebre come
di velo]. Compito oscuro, ma sublime...
».
E san Leonardo, pratico e concreto com’era,
concluse: «Così la nostra congregazione
deve tendere ad essere umile e bassa dinanzi agli uomini, per essere grande a
quelli di Dio. Come individui... perché nella Bibbia si legge che... si
salveranno solo gli umili di spirito; come congregazione... nel far poco e non
figurare. Dobbiamo far molto, ma non ‘ut videamur ab hominibus’ [cf Mt 23,5: per essere ammirati dagli
uomini]».
7.4
Il 10 gennaio 1877 scrisse: «Per ogni
paese il suo santo è il più grande del cielo: a Padova S. Antonio, a Napoli S.
Gennaro, a Milano S. Ambrogio... Veramente ogni santo in cielo è onnipossente sul
cuore di Dio... Epperò l’intercessione dei santi è senz’altro efficacissima;
occorre solo che essi siano invocati con fervore, con fiducia. E siccome
naturalmente ogni paese ha più divozione per i santi nativi o assunti come
protettori del luogo stesso, perciò è così efficace la loro intercessione.
Or dunque, perché scegliere
noi S. Giuseppe? Perché:
1º Se è vero che ogni santo
è validissimo protettore, tuttavia evidentemente più pronta e più abbondante è
la copia dei beni che vengono ottenuti da Dio da un beato che più è vicino al
trono di Dio: S. Giuseppe, senza fallo, è uno dei santi più esaltati,
glorificati,e da Dio amati in cielo.
2º Nella condizione nostra,
cinque sono i titoli che ci persuadono a scegliere per patrono S. Giuseppe a
preferenza di qualsiasi altro santo.
a) In queste nostre case, la
maggior parte dei giovani sono operai. S. Giuseppe fu l’artigiano più santo,
dopo Gesù Cristo evidentemente; dunque doveva essere prescelto a protettore di
artigiani, tanto più che egli, benché prosapia di re, scelse di essere
artigiano a preferenza di altra condizione sociale.
b) Chi in questa casa non è
artigiano, cioè i maestri e gli studenti [gli educatori e gli aspiranti alla vita
religiosa] debbono in special maniera
attendere alla vita interiore, all’unione interna con G.C. E anche gli artigiani
debbono, per giungere alla perfezione, applicarsi quanto possono alla vita
interiore: presenza di Dio, purità di intenzione, unione di affetti con G.C.,
attuale amor di Dio: un occhio al cuore un altro a Dio. Ora a ciò occorre avere
un modello da imitare e un protettore, che ottenga i doni dello Spirito Santo a
ciò necessari. Ed ecco una seconda ragione per onorare ed essere devoti del
gran padre putativo di Gesù. Ricordate le invocazioni nelle litanie di S.
Giuseppe: modello di vita interiore, nascosta, di unione con Dio.
c) Una grazia delle più
necessarie alla gioventù è quella di conoscere la propria vocazione: non solo a
qual professione Dio chiami un giovane, ma specialmente conoscere se Dio, per
grande ventura, non chiami alcuni alla sublime dignità del sacerdozio ed alla
avventurata sorte di essere da Dio prescelti e chiamati ad essere porzione
dell’eredità di Dio in qualche Ordine o congregazione religiosa; od almeno
servire di tutto cuore il Signore anche nel secolo ma in celibato ispirato dalla
grazia di Dio e scelto per poter essere tutto ed unicamente di Dio. Ora il protettore
e il maestro della vocazione è il glorioso nostro S. Giuseppe, il quale ebbe la
missione di dirigere i primi passi di Gesù.
d) La quarta ragione è per
il privilegio che ebbe di spirare la benedetta anima sua nelle mani di Gesù e
di Maria, e perciò diventò il protettore della buona morte...
e) Per il nostro collegio:
siamo poveri, viviamo alla Provvidenza. Occorrono 70/80 mila franchi all’anno;
ne abbiamo 6.000, e quel po’ dei laboratori. Ebbene. S. Giuseppe fu la provvidenza
di Gesù e di Maria; lo è tuttora per tutti i poveri. È provato che chi ricorre
a lui stenterà, ma fa fronte agli impegni necessari; Dio modera le domande dei
creditori. Questa statuetta... [Di essa parlò il can. Antoniotti in una sua testimonianza giurata.
Eccola. “Io vidi che egli teneva una
piccola statuetta del Santo in una coppa, destinata a custodire il denaro.
Interrogato del perché lo facesse, sorridendo mi disse: – Tengo questa
statuetta qui perché S. Giuseppe veda quando la coppa è vuota, e provveda.
Conclusione: il curato d’Ars
aveva ‘la piccola santa’ S.a Filomena; in lei confidava per tutto, a lei
attribuiva tutto. Noi abbiamo il gran santo Giuseppe, il padre di Gesù, il
rappresentante dell’eterno Padre, lo sposo di Maria».
7.5 In altra data, che non conosciamo, si appuntò
ancora: «S. Giuseppe ci guarda come
figli; ci assiste in tutte le azioni, le dirige allo scopo, ci è propizio
presso Gesù e Maria in vita e in morte... Per noi la consacrazione religiosa è
contratto con Dio e con S. Giuseppe: per la nostra santità; per il collegio: i
debiti; per la congregazione: regolarità e fervore; per la Chiesa: un’anima
fervente... ».
Si appuntò pure: «Tra
i doni di cui i cristiani devono ringraziare Dio: creazione, redenzione,
paradiso, e sua madre la madre no-stra; tra i doni di cui noi confratelli:
quello di avere a nostro protettore e padre il padre di Gesù, di Dio incarnato
e padre nostro. Monstra te esse patrem. Il suo patrocinio comprende tutto:
difesa, protezione. Diciamogli, come a Maria: – Sub tuum praesidium
confugimus, sancte Joseph».
7.6 Il 7 maggio 1876, dopo aver parlato del cuore di
Gesù ‘fonte delle grazie’ e di Maria
e Giuseppe come dei ‘due canali’, concluse:
«in punto di morte saremo contenti di
aver appartenuto a S. Giuseppe? Anzi, non è questo un segno di predestinazione;
di gran santità, cui si è chiamati? È il protettore della vita interiore». Nel
Natale del 1879 scrisse: «La festa di
oggi ci fa avvertire che noi siam fratelli di Gesù in quanto oggi Giuseppe
divenne padre adottivo di Gesù. Gesù lo chiamava padre; e Giuseppe guardava
Gesù come figlio. E anche noi nella consacrazione [religiosa] lo chiamiamo padre, ed egli ci guarda quali
figli, così abbiamo una nuova fratellanza con Gesù in S. Giuseppe».
Devozione a S. Giuseppe e l’Eucarestia
8. Interessanti sono alcuni appunti che riguardano
il rapporto tra la devozione a S. Giuseppe e l’Eucarestia. Accennàti nel
paragone tra Giuseppe figlio di Giacobbe e il nostro Santo, furono sviluppati
anche altrove. Il 19 marzo 1898 appuntò: «In
un libro, che dispone i sacerdoti a celebrare con divozione la S.a Messa si
suggerisce l’idea che, quando dopo il Pater si pulisce con il purificatoio la
patena, su cui si depone subito dopo l’Ostia consacrata, il corpo vi-vo e vero
di G.C., si immagini di essere S. Giuseppe che prepara il presepio, la cuna del
Bambino: con quanta cura, con quanto piacere interno! E noi prepariamo non
solo la patena su cui deporre momentaneamente il corpo del Signore, ma il
calice in cui versare il sangue di Gesù. Se S. Giuseppe, invece della culla
avesse avuto da preparare il suo cuore a ricevere G.C., quale preparazione,
quale Comunione santa! Dopo quelle di Maria, nessuno più fervorosa. Imitiamolo;
preghiamo che ci disponga. Ricordiamo che in quel libro si raccomanda di
immaginarsi di ricevere la Comunione delle mani di Maria SS.ma; così pure le
preghiere del Giovane Provveduto. Ebbene, oggi dalle mani di S. Giuseppe».
Nella festa del patrocinio del 1894 si appuntò: «Prima della Messa: fede, umiltà, fiducia di
S. Giuseppe quando baciava Gesù. Noi nella Comunione, che non ebbe lui la
fortuna di fare... Vediamo di assicurarci Ia perseveranza in collegio, e
speranza fuori. Che fare per perseverare? I tre soIiti: fuga delle occasioni –
preghiera – sacramenti. Ma un mezzo che aiuti a praticare questi medesimi
mezzi, che ci faccia costanti ? 1º la divozione a S. Giuseppe; 2º al sacro
Cuore... Come ottenerla? La comunione al mercoledì: suo piacere, nostro
vantaggio. La Comunione lascia impressioni..., due Comunioni settimanali [al
mercoledì in onore di S. Giuseppe, al venerdì in onore del sacro Cuore] ».
8.1 In una pagina, dove san Leonardo sviluppò il
paragone tra Giuseppe figlio di Giacobbe e lo sposo di Maria, scrisse: «Giuseppe fece assai più
che l’antico Giuseppe: conservò il pane vivo disceso dal cielo; lo
conservò non solo all’Egitto e qualche israelita, ma a tutto il mondo. Sì,
Giuseppe salvò da Erode il pane vivente disceso dal cielo, affinché dopo 30
anni potesse darsi in cibo agli apostoli e, per essi, a tutti gli affamati
della vita e felicità eterna. Giuseppe tiene nascosto questo frumento degli
eletti per 30 anni: la casa di Giuseppe fu un misterioso tabernacolo; le sue
braccia una pisside; il suo petto una patena su cui Gesù dormiva... E questo
corpo san-tissimo di G.C., che ci nutrisce per la vita eterna, fu nutrito dalle
fatiche di Giuseppe.
Noi sacerdoti,
che siamo gli intendenti, gli economi della casa di Dio, i dispensatori dei
doni di Dio, come Giuseppe, alziamo, abbassiamo il corpo di Gesù, baciamo la
patena su cui riposa. Deh! impariamo da Giuseppe ad accostarci con fedeltà,
purezza, amore... Anime divote, che avete fame del cibo del cielo: – Ite, ad
Joseph, e fate ciò che vi dirà [Gen 41,55]. Vi
dirà che ci vuole innocenza, fede viva, umiltà; amare Maria, fuggire gli
Erodi: il rispetto umano, il sensualismo; preferire Gesù a tutto. Giuseppe vi insegnerà come tenere compagnia a Gesù, ad amarlo, carezzarlo, pregarlo... ».
E concluse con la seguente preghiera:
«0 Giuseppe, noi
siamo vostri servi e vostri figli. Venite ad abitare in questa nuova Nazaret.
Venite a regnare su noi: noi vi diamo gli stessi poteri che aveste sulla
famiglia di Nazareth.
0 Giuseppe,
siate il fedele custode di Gesù e Maria fra noi; il padre di questa famiglia su
cui l’eterno Padre vi ha costituito. Amen».
Alcuni dati
9.
Prima di finire accennerò alcuni dati:
a)
durante la sua vita san Leonardo intitolò a S. Giuseppe la sua congregazione
religiosa (fondata il giorno della festa del santo nel 1873), la casa-famiglia
per operai, l’istituto educativo di Volvera; intitolò alla santa Famiglia
l’oratorio festivo di Oderzo; istituì la confraternita di S. Giuseppe al
Collegio Artigianelli – poi diffusasi in altre opere della congregazione – e il
gruppo S. Giuseppe tra i dirigenti dell’oratorio S. Martino.
b)
Nei manoscritti troviamo la sigla J.M.J. (Jesus, Maria, Joseph) ben 842 volte;
quella G.M.G. (Gesù, Maria, Giuseppe) 99 volte e 23 volte W G.M.G. Inoltre la
sigla, o la dicitura completa S.G.a.d.c. d. G. (Giuseppe, amico del cuore di
Gesù) 27 volte. Nell’epistolario 103 volte compare la sigla J.M.J.; G.M.G. 285
volte, altre 285 volte W G.M.G. Fece inoltre seguire la sua firma da C.S.J.
(Congregationis Sancti Joseph) ben 356 volte.
10. Da ultimo voglio riportare alcune poche, ma
significative testimonianze giurate portate ai processi canonici sulla
devozione di san Leonardo verso S. Giuseppe.
Affermò Don G. Costantino: «Il servo di Dio dimostrò la sua divozione al gran patriarca S.
Giuseppe non solo col pregarlo nelle frequenti necessità, ma animava pure
tutti a confidare nel suo potere e invocarlo nei bisogni, a imitarne le virtù
per averlo protettore in vita e in morte. Volle che... in tutte le case della
Pia società ci fosse un altare e una statua del nostro Santo patrono, la cui
festa, preceduta da novena, voleva celebrata con grande solennità».
Don E. Reffo attestò: «Inculcò più volte nelle sue lettere circolari ai confratelli questa
divozione; lo invocò e lo fece invocare più volte con novene speciali nei
bisogni spirituali e temporali del Collegio degli Artigianelli e della
congregazione. Promosse la divozione del Culto Perpetuo, e l’ultima sua
raccomandazione, fatta prima di morire, fu che si celebrasse con singolare
divozione il mese di S. Giuseppe».
D. G. Reineri ricordò che egli: «onorava e faceva onorare con speciali preghiere i giorni di mercoledì,
e specialmente il primo del mese, invocandolo con apposite preghiere per
ottenere la buona morte». D. Mosele aggiunse: «tra le preghiere che ci suggeriva in onore del Santo erano in modo
particolare le Sette suppliche»; e l’ex-allievo sig. Accomasso precisò: «ogni mercoledì lo faceva onorare con pie
pratiche, specialmente esortando alla santa Comunione».
Il sig. Quirino dichiarò: «faceva onorare S. Giuseppe con la recita delle Sette Allegrezze e le
Sette Suppliche, nelle quali aveva grande fi-ducia»; e Don Franchi osservò:
«pare che siasi studiato in tutta la sua
vita di volerne ricopiare le virtù, specialmente dell’umiltà e del
nascondimento».
Nel secondo processo canonico il can. Giuganino
disse: «nella domenica del patrocinio di
S. Giuseppe invitava gli ex-allievi perché facessero la Comunione, e li teneva
poi a pranzo», il confratello sig. Mantelli attestò: «egli volle che la novena di S. Giuseppe fosse sempre solenne: con
predicazione quotidiana, funzioni speciali, e volle la massima solennità nel
giorno della festa». Un altro confratello coadiutore, il sig. Minoglio,
ricordò: «la cospicua eredità del conte
Guarene, che venne a sollevare le angustie economiche del collegio e del servo
di Dio, si ebbe appunto nella novena di S. Giuseppe dell’anno 1899».
Pur risultando forse troppo lunga per essere
contenuta in un artico-lo, la presente documentazione è solo una parte di
quella che ci è pervenuta; sufficiente però, almeno credo, a delineare le
linee fondamentali della devozione a S. Giuseppe come san Leonardo la visse e
la inculcò. Forse qui i confratelli di S. Giuseppe possono trovare interessanti
spunti per «diffondere nella Chiesa la venerazione» di questo santo, che «essi
considerano loro compito specifico», come viene affermato nell’art. XVII delle
Costituzioni.