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RUBRICHE: "Bibbia" - Dio libera e rimette in cammino



(seconda parte)

Una volta [Gesù] stava insegnando in una sinagoga il giorno di sabato. C' era là una donna che aveva da diciotto anni uno spirito che la teneva inferma; era curva e non poteva drizzarsi in nessun modo. Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: "Donna, sei libera dalla tua infermità", e le impose le mani. Subito quella si raddrizzò e glorificava Dio. Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, rivolgendosi alla folla disse: "Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi curare e non in giorno di sabato". Il Signore replicò: "Ipocriti, non scioglie forse, di sabato, ciascuno di voi il bue o l' asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che satana ha tenuto legata diciott' anni, non doveva essere sciolta da questo legame in giorno di sabato?". Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute”.

Abbiamo già commentato la prima parte di questo brano, e cioè l’atteggiamento di Gesù verso la donna, concludendo che l’iniziativa di Gesù verso di lei erano dettati da compassione e misericordia. Tali sentimenti però non sono narrativamente indicati. Possiamo constatare tuttavia che alcuni sentimenti sono presenti nel nostro passo a partire dal v. 14.

Là è il capo della sinagoga che parla, ma lo fa in modo doppiamente “distorto”. Infatti ci aspetteremmo che rivolga la sua critica sdegnata (ed irritata per la guarigione avvenuta in giorno di sabato) a Gesù, che aveva preso l’iniziativa, ma egli si rivolge invece alla folla. E’ già in questo che il Narratore comincia a smascherare l’ipocrisia dell’arcisinagogo, che non ha il coraggio di affrontare frontalmente il “colpevole”.

L’accusa si focalizza sull’infrazione del precetto del riposo sabbatico. Forse la donna, quella poveretta guarita, avrà continuato a lodare Dio senza dare troppo peso allo sdegno di quell’uomo. Ma Gesù prende le sue difese e quelle di tutti gli oppressi; con il suo comportamento poi, getta una luce più profonda su cosa significhi onorare Dio.

Egli, richiamandosi ad un’abitudine autorizzata ed indispensabile, esplicita – e lo rende manifesto anche a noi, lettori – che ciascuno, in giorno di sabato, slega il bue o l'asino dalla mangiatoia per portarli ad abbeverarsi. Si tratta quindi di un lavoro! Con ciò Gesù mostra l’ipocrisia degli oppositori: vi è grande differenza tra ciò che dicono e ciò che fanno. Ma non basta; con tale fatto concreto Gesù comunica che se i suoi ascoltatori (compreso tra essi il capo della sinagoga) sciolgono bue o asino è per mantenerli in salute e quindi, al di là dell’interesse materiale, dimostrano anche di essere capaci di attenzione, quasi di bontà, verso le esigenze dei propri animali. Orbene non doveva essere fatto questo atto di bontà anche verso la donna curva? Inoltre se la sete degli animali deve essere placata in breve tempo - nello stesso giorno, anche se sabato -, doveva la donna aspettare ancora per poter essere liberata, anche se solo un giorno in più? Ecco un altro motivo narrativo per cui Gesù ripete alla fine: “E questa figlia di Abramo, che satana ha tenuto legata diciott' anni, non doveva essere sciolta da questo legame in giorno di sabato?”.

Da ciò deduciamo (e ciò certo è molto significativo anche per noi oggi) che la Parola del Signore ha una doppia valenza profetica: da un lato proclama e nello stesso tempo già realizza la liberazione; dall’altro smaschera le scorciatoie e le scuse ipocrite che sono camuffate da un rifiuto, dal rifiuto di dare una risposta agli ultimi, a questa donna concreta, “ultima”.

Inoltre Gesù riorienta il significato del sabato. Il capo della sinagoga, a onor del vero, non erra, soffermandosi però alla lettera del comando. Egli infatti ha ben presente il precetto esplicitato principalmente in Es 20,8-11 (che a sua volta riprende il racconto di creazione) e Dt 5,13-15. Ma Gesù, proprio sulla scorta in particolare di quest’ultimo testo, implicitamente rimarca, in base al contesto, che il sabato non si esegue lavoro al fine di riposare e di ricordare di essere stati schiavi e di esser stati liberati da Dio; era quindi doveroso, inevitabile, che Dio liberasse, “slegasse” quella donna proprio in giorno di sabato.

Non conosciamo la reazione finale del capo della sinagoga, ma notiamo che il suo giudizio è doppiamente (qui nel secondo senso) “distorto”. Egli pertanto si trova nella stessa condizione della donna incurvata, storto nel suo modo di valutare e giudicare perfino la Parola e la volontà di Dio. E neppure la visione dell’opera, delle meraviglie di Dio (guarigione/liberazione della donna) riesce a “raddrizzarlo”! Ma il narratore lascia aperto il discorso e non ci dice se, dopo la replica di Gesù, egli sia cambiato…

In aggiunta possiamo cogliere come l’agire di Gesù non è solo rivolto al benessere fisico, ma sortisce anche l’effetto di ridare piena identità e dignità alla donna – è figlia di Abramo – e con ciò le fa ritrovare la sua vocazione ed il suo appartenere al popolo eletto, il popolo salvato da Dio e depositario delle promesse.

Infine, dando uno sguardo rapidissimo al contesto in cui questa pericope è inserita e tralasciando moltissime altre cose, notiamo come essa sia seguita da due piccole parabole in cui in maniera esplicita - ed è questo l’unico punto nel Vangelo di Luca – si pone la domanda e viene fatto seguire il paragone riguardo al Regno di Dio. Sono due parabole che parlano di crescita e non possiamo non cogliere il collegamento con l’alzarsi, il raddrizzarsi della donna. Pertanto la Parola del Signore che proclama e nello stesso tempo già realizza la liberazione è in stretta relazione con il Regno.

Oltre a ciò, il brano è inserito nella lunga sezione del viaggio verso Gerusalemme (Lc 9,51-19,44), come a significare che il muoversi, il fare strada, il cammino a cui sono chiamati i discepoli e le folle – insieme al Maestro o sulle sue orme – trova la sua motivazione nel fatto che Gesù medesimo è andato fino in fondo alle nostre povertà, alle nostre miserie, senza scandalizzarsi, di modo che, “slegati” siamo in grado di riscoprire la gioia, la lode a Dio ed il gusto di seguirlo.

P. Diego Cappellazzo


 


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