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Eugenio Reffo: Alla scuola di San Giuseppe


da: G:Bellotto, Una settimana con don Eugenio Reffo, Congregazione di san Giuseppe - Giuseppini del Murialdo - Postulazione generale, Roma, s.d., pp.31-33


dalla Lettera circolare del 12 febbraio 1914

«Vi sono altre Congregazioni i cui membri sono i servi, o gli oblati o i figli di san Giuseppe; noi abbiamo una denominazione più generica: siamo Giuseppini, e questa parola comprende tutto: l’oblazione, la servitù, e la figliolanza, e ne compendia tutti i pregi ed i doveri; siamo di san Giuseppe, e in modo categorico.

San Giuseppe ha da essere il nostro esemplare e come il compendio delle nostre Regole. Dobbiamo fare di più ancora: dobbiamo esprimere in noi stessi san Giuseppe e come il cristiano è detto con ragione alter Christus, così il Giuseppino dovrebbe essere un altro san Giuseppe, in modo che ognuno di noi lo ricopi quel caro Santo in se stesso e lo rappresenti dinanzi agli altri: la stessa amabilità, la stessa affabilità, la stessa soavità di modi e dolcezza di parola, la stessa umiltà e amore al nascondimento e soprattutto la stessa ilare semplicità, quella che guadagna i cuori, attira i giovanetti e fa amare e praticare la virtù».


Le lettere circolari e gli innumerevoli appunti di predicazione ci dicono che tutta l’attività di animazione e formazione dei confratelli compiuta da Don Reffo, ebbe come punto di costante riferimento la persona di san Giuseppe.

La vivezza, l’efficacia e il calore con i quali don Reffo penetra e presenta la spiritualità del giuseppino rivelano una continua amorosa meditazione della vita del Santo Patrono e il grado di assimilazione delle sue virtù.

Il nocciolo della santità egli lo trova nella virtù dell’umiltà. Volendo imitare costantemente di san Giuseppe, egli si circondò di silenzio e di nascondimento e umili e silenziosi voleva che fossero anche i Giuseppini, una Congregazione che disturba nessuno, se non i piani del demonio; chi viene volentieri per questo a vivere con noi, venga; chi sta volentieri, rimanga.

E poi in san Giuseppe don Reffo ammirava, era affascinato dalla semplicità, che per lui aveva questa accezione: autenticità di vita.

Non occorre essere uomini di teatro, come era don Reffo, per cadere nella tentazione di recitare un pochino, anche quando non si è sul palcoscenico, di caricare le tinte di quello che si è fatto o di quello che si ha da dire.

San Giuseppe è l’uomo della autenticità; non si mette in posa, non aspetta l’applauso. Non recita per nessuno ma vive; vive per Dio, che è quel Bambino che gli sta crescendo in casa, vive per la sua Sposa.

Don Reffo vedeva san Giuseppe nel contesto di vita della Sacra Famiglia e del suo lavoro di falegname e ne ricavava conseguenze immediate per sé e per i Giuseppini: ogni giovane è per me Gesù, ogni lavoro è il contributo che posso dare al sostentamento, alla sicurezza, alla vita di Gesù e di Maria.

Don Reffo si dedicò in modo intelligente alla propagazione della devozione a san Giuseppe, anche fuori della cerchia dei confratelli giuseppini, presentandolo come ideale del buon cristiano nella vita familiare e particolarmente del religioso nella vita comunitaria.

Per i religiosi scrisse due Novene, una di preparazione alla Festa del 19 marzo, l’altra per la Festa del Patrocinio di san Giuseppe. Per i Giuseppini in particolare, durante il periodo in cui fu Superiore Generale della Congregazione, scrisse ben sette circolari per raccomandare la devozione al Santo Patrono. Ne illustrò le motivazioni bibliche e teologiche, suggerì preghiere e pratiche ascetiche.

Don Reffo fu un innamorato di san Giuseppe, ed è detto tutto.


Dagli scritti di don Reffo

1Vediamo di acquistare sempre più una confidente dimestichezza con san Giuseppe, tanto nelle faccende temporali quanto nei bisogni spirituali.

Talora ci lamentiamo delle contrarietà e ci prende la sfiducia: ne abbiamo parlato con il nostro Santo?

Grande difficoltà incontriamo talora nell’educazione dei nostri fanciulli: l’abbiamo noi invocato anche per questo?

Qualche volta ci pesa l’obbedienza, e san Giuseppe può rendercela leggera; se la malinconia viene a turbarci, se il nostro ministero ci sembra arido ed infruttuoso, chi meglio del nostro Santo può renderlo consolato e fecondo?

Vi è una grazia specialmente che noi dobbiamo domandare a san Giuseppe sovra ogni altra più importante e alla quale come Giuseppini abbiamo un certo diritto: la grazia della buona morte!»



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