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Vita Giuseppina


In risalto nel numero

DIECI ANNI IN INDIA

di p. Eugenio Beni

Quel sogno partito dieci anni fa ha ormai preso consistenza. Oltre ai 5 giuseppini italiani attualmente in India (p. Renzo Vanini ed Eugenio Beni ad Aroor, p. Angelo Zonta, John Trimaglio e Giuseppe Cavallin a Chemparaky), vi sono oltre 30 giovani confratelli indiani, alcuni dei quali sono ora in Italia, Brasile, Ecuador, e uno in Africa. I novizi quest’anno sono 14, e poi ci sono i giovani del Seminario di Aroor: per il nuovo anno, che parte a giugno, se ne prevedono oltre 40, divisi in tre corsi.

A volte vengono utili anche i sogni degli altri. Infatti, se i Giuseppini stanno sudando e sognando ormai da 10 anni sulle sponde del Mare Arabico, lo si deve prima di tutto al compianto Mons. Joseph Kureethara, vescovo di Cochin, la più piccola diocesi indiana, ma, con Goa, la più antica (450 anni) di rito latino. Egli scrisse a p. Luigi Pierini, allora superiore generale, invitandolo ad aprire una casa per aspiranti alla vita religiosa nella sua diocesi. Il sogno venne fatto proprio da p. Luigi, che nel luglio 1997, con l’indimenticabile p. Vittorio Garuti, compì una visita di 15 giorni per chiarire le modalità della nuova apertura.
Si trattava ora di trovare il giuseppino adatto e disponibile alla nuova impresa, e la scelta di p. Luigi fu per p. Tarcisio Riondato, maestro dei novizi in Africa, salito in cielo l’anno scorso. Accompagnato da p. Agostino Manfredini, allora economo generale, arrivò in Kerala (lo stato indiano dove si trova Cochin) il 12 febbraio 1998. Dopo alcune settimane di “acclimatazione” nella casa del vescovo, del resto assai utili per conoscere sacerdoti, religiosi e religiose e la realtà della diocesi, Mons. Kureethara mandò p. Tarcisio a Chandiroor, chiedendogli di celebrare la Messa quotidiana nella locale chiesetta (da alcuni anni eretta in parrocchia). Aveva la collaborazione di giovani sacerdoti o diaconi diocesani, tuttavia dovette imparare a celebrare in malayalam, la lingua del posto, e vi assicuro che non è per niente facile!
Il 20 agosto 1999, benché i lavori non fossero del tutto finiti, si inizia a vivere nel nuovo edificio. Esso fu inaugurato nel 2000 dal nuovo vescovo di Cochin, Mons. John Thattumkal, presente anche p. Pierini. P. Tarcisio si dà da fare per riempire le vaste camerate, andando a visitare parrocchie e famiglie, incontrando i giovani al catechismo e nelle scuole, e così i seminaristi aumentano. Un buon numero di confratelli si avvicenda, per periodi più o meno brevi, per dare una mano e fare compagnia: p. Flavio Allegro, a cui si deve la prima sistemazione del giardino e della cappellina del seminario, p. Bruno Guzzonato, Carlos Paludo, Geraldo Canever, Lino Barbieri, Valdir Susin, che rimase cinque anni, e molti altri. Occorre ricordare che il visto non dura oltre i sei mesi, e quindi nelle comunità indiane è un continuo andirivieni. Non mancarono anche le visite dei membri del Consiglio Generale.
Intanto i primi giovani sono pronti per iniziare il noviziato. Bisogna dunque trovare un nuovo terreno, e costruire un’altra casa. La terra si trova a Chemparaky, sulle colline sopra Aluva, nella confinante diocesi di Verapoly. Se ad Aroor ci sono le palme da cocco, qui siamo fra gli alberi della gomma. I lavori iniziano a San Giuseppe del 2002. Già a dicembre p. Tarcisio e i primi 7 novizi possono trasferirsi nella nuova sede. Negli anni successivi accanto al noviziato si erige la casa per i chierici, terminata nel 2005. Pochi mesi dopo p. Tarcisio, colpito da tumore, deve rientrare in Italia. Ha dato tutto perché anche questo sogno, dopo quello della missione in Sierra Leone, diventasse realtà.